Intervista a Claudiano
Sironi del 15-12-2023
per il romanzo “Il tè del
professore”.
Salve
dott. Sironi, lei è stato medico chirurgo, dirigente medico in importanti
ospedali del Nord, autore di pubblicazioni scientifiche e relatore in convegni
medici. Da dove vengono la passione per la scrittura e per la filosofia?
La passione
per la Medicina e la Filosofia nascono insieme - moltissimi anni fa - quando
studente liceale partecipai ad alcune campagne di scavo archeologiche
nell’antica città di Elea, patria di Parmenide, al contempo filosofo, medico,
sacerdote, legislatore. Dal venerando filosofo originarono sia una scuola
filosofica, sia una scuola medica, definite appunto eleatiche. Da Apollo Oulios, cioè guaritore, originò la
definizione che Parmenide diede di se stesso: Ouliades, capo scuola degli Ouliadai,
medici, sacerdoti e filosofi della città.
In tale
contesto presero avvio le mie scelte professionali e letterarie, costantemente
condotte dall’adolescenza all’età dei capelli grigi.
Per quanto
concerne la scrittura, ritengo che essa rappresenti la più grande invenzione,
più del fuoco o della ruota. Con essa l’uomo ha potuto trasmettere ai contemporanei
e ai posteri, le proprie “storie”, consentendo di poter vedere più lontano, grazie
al sapere e alla téchne che si tramandano grazie alla scrittura: siamo dei
“nani sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto”.
Chi
sono i protagonisti del romanzo e chi è la voce narrante?
Il
protagonista assoluto è il Professore, insegnante liceale e poi universitario di
filosofia, ideatore e organizzatore di scavi archeologici in Magna Grecia. Tali
scavi consentirono a noi studenti di percorrere gli stessi passi degli antichi
saggi studiati a scuola, perché “l’unico modo per comprenderne appieno il
pensiero è camminare con loro, là dove essi vissero e parlarono”.
Il
Professore non viene mai nominato con il suo vero nome, in quanto l’uomo saggio deve restare “senza nome”,
così come lo erano gli Antichi Maestri d’Oriente.
Il
coprotagonista (voce narrante) è l’allievo che apprende e cercherà a sua volta
di “ritrasmettere conoscenza”, in un ciclo perpetuo di tramissione del sapere
tra maestro-allievo.
Come
inizia l’opera?
L’allievo di
tutta una vita ritrova casualmente in un cassetto, dopo cinquant’anni, gli
appunti dimenticati del Professore. Da qui nasce lo spunto per una serie di
riflessioni sulle origini del pensiero filosofico o del pensiero stesso,
declinato nel tempo fra Oriente e Occidente.
Ci
dice qualcosa dello sviluppo?
Il
professore e l’allievo tenteranno un’impossibile sintesi fra mondi eterogenei,
in epoche remote e moderne, in un dialogo dapprima reale sui banchi di scuola,
e poi immaginario, proseguito nei Campi Elisi. I tratti salienti del pensiero
d’Oriente e d’Occidente saranno dibattuti e, dove possibile, messi in relazione
o in contrapposizione. Le ultime pagine del libro trarranno spunto da una sorta
di testamento spirituale che il Maestro ha siglato, al termine dei suoi
appunti.
Quali
sono i tratti caratteriali salienti del ‘professore’ e qual è il suo rapporto
con gli allievi?
Il
Professore amava definirsi “uomo superfluo”,
non nell’accezione comune, ma in grado di saper fluère, ovvero scorrere sopra e
oltre le cose.
Era uomo visionario,
carismatico e informale, amato da tutti, sia pure in un periodo storico di
grandi conflitti e feroci contrapposizioni ideologiche.
Quanto
c’è di autobiografico nell’opera?
Vi sono note
autobiografiche tratte dal contesto storico degli anni Settanta e Ottanta del
secolo scorso, al tempo delle grandi contestazioni studentesche e della successiva
deriva negli anni di piombo; inoltre
vi sono accenni personali a passioni adolescenziali.
Lei
con questo romanzo ha vinto il Premio Letterario internazionale “Autori
Italiani”, ed. 2023. Quanto è importante partecipare ai concorsi letterari e
cosa dà a uno scrittore una vittoria in un concorso letterario che vede a ogni
edizione circa 500 o più partecipanti?
Nulla è
veramente nostro in questo mondo, e nemmeno i riconoscimenti lo sono: ma
possiamo cercare di essere buoni amministratori dei beni materiali, spirituali
e culturali a noi affidati, così da poterli trasmettere “con valore aggiunto” alle
generazioni future.
In questo
contesto il ”premio” può tuttavia aiutare nella diffusione e nella migliore visibilità
di questi “valori aggiunti”; inoltre è uno sprone per impegnarsi in opere
future sempre migliori.
Da
lettori nutriamo la speranza di rileggerla presto. Sta già lavorando a una
nuova opera?
Sì! Scrivere
è anche una (innocua e piacevole) dipendenza! È in corso d’opera un romanzo
storico e di ambientazione archeologica.
Gli amici, i
lettori e i critici hanno tutti tentato di dissuadermi:
«Sei pazzo!
Il romanzo storico - genere del quale tu non hai dimestichezza - è “sabbia
mobile”, è un “campo minato”, dove anche il minimo errore di ambientazione non viene
perdonato dagli esperti del settore, che, come ben sappiamo, sono severi e permalosissimi!
»...
Il titolo
provvisorio è “RASNA (il nome che gli Etruschi davano a loro stessi), le
scritture segrete”, in merito all’incredibile scoperta archeologica di un bene
immateriale di incommensurabile valore: la letteratura etrusca - che si credeva
perduta o addirittura mai esistita. Questo, almeno nella finzione narrativa, è
il tributo che vorrei dare al lignaggio delle mie origini etrusche (Viterbo,
Tuscia meridionale).