Gerico e la rivoluzione agricola - I libri e i racconti

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Gerico, agli albori della civiltà urbana
Allora il Signore disse ad Abram: «Alza gli occhi e, dal luogo dove tu stai, spingi lo sguardo verso il settentrione e il mezzogiorno, verso l’oriente e l’occidente. Tutta la terra che tu vedi, io la darò a te e alla tua discendenza, per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra, potrà contare anche i tuoi discendenti. Àlzati, percorri la terra in lungo e in largo, perché io la darò a te». Poi Abram si spostò con le sue tende e costruì un altare al Signore. Genesi 13-14-18
Era un giorno qualunque della tarda primavera del 7000 a.C., Jebel ed il fratello Sem provenivano dai Monti Zagros e correvano da molti giorni inseguendo un’antilope ferita. Da tempo avevano lasciato l’accampamento della tribù paleolitica, alle pendici della montagna sacra. Verso sera i due fratelli decisero di fermarsi su un’altura per prepararsi alla notte, in una posizione dominante e difensiva. Giunti alla sommità, apparve loro, nella nebbiolina della pianura sottostante e al di là di un grande fiume, un’immagine mai vista prima: Gerico, la più antica città del mondo. La vita dei due fratelli, e la vita del genere umano, sarebbero per sempre cambiate, nella rivoluzione del Neolitico.
Jebel e Sem non lo sapevano, ma già da circa mille anni il tempo atmosferico era mutato, faceva più caldo e le calotte dei poli, nonché i grandi ghiacciai dell’emisfero boreale, stavano sciogliendosi e il livello dei mari stava salendo, isolando terre un tempo unite. Anche la piovosità era aumentata, favorendo la crescita di vegetazione e di piante commestibili.
Lungo le grandi valli fluviali del Tigri e dell’Eufrate, del Fiume Rosso e del Fiume Verde nelle regioni anatoliche, del Giordano, del Nilo, del Niger, dell’Indo e del Fiume Giallo, le comunità umane iniziavano a risiedere stabilmente, abbandonando progressivamente la vita errabonda di caccia e raccolta ed aggregandosi sempre di più. Vennero scelte le migliori piante, domesticate e coltivate: nasceva l’agricoltura. Vennero scelti i migliori armenti, domesticati e protetti: nasceva la pastorizia. L’avvento del Neolitico fu la più grande rivoluzione del genere umano, con conseguenze inimmaginabili, che condizionano tuttora la nostra epoca. L’epicentro planetario dell’avventura neolitica fu quella regione del mondo chiamata “Mezzaluna Fertile” - dal Mediterraneo Orientale al Golfo Persico - a quel tempo lussureggiante. Nascevano “le civiltà dei Grandi Fiumi”, agli albori della civiltà urbana.
Era spuntata l’alba di un giorno qualsiasi nella primavera del 7000 a.C. La nebbiolina del mattino si era diradata a svelare un grande fiume, il Giordano, che scorreva di intenso blu nel verde abbagliante di prati e giunchi; oltre c’era la città - ma i fratelli non sapevano cosa fosse una città e tantomeno il suo nome, Gerico, che oggi suonerebbe “la profumata”o “città della luna”.
Jebel e Sem, ipnotizzati dalla vista di una lunga ed alta muraglia di pietra, così simile alle montagne svettanti verso il cielo, così somigliante ai Monti Zagros degli Dei e degli Antenati, attraversarono il fiume su un tronco galleggiante ed incautamente si avvicinarono. Vennero subito fatti prigionieri.
Incapaci di comprendere ed esprimersi in una lingua sconosciuta, ritenuti delle spie, vennero imprigionati e resi schiavi, addetti ai lavori pesanti, al trasporto di enormi massi per costruire ancora più alte e possenti mura. Sem dopo qualche tempo cominciò a deperire, malgrado la vicinanza e l’affetto del fratello. Certamente per la fatica, per l’afflizione di non poter più tornare alla tribù degli avi, ma soprattutto a causa di quel cibo monotono e sconosciuto che veniva loro portato in bacili d’argilla cotta, composto da nauseabondi pastoni di latte e granaglie.
Un giorno d’autunno dello stesso anno Sem cadde sotto il peso delle pietre trasportate e nonostante le frustate delle guardie non riuscì più a rialzarsi. Trascorse una settimana, ed aiutato a bere solo dal fratello, rimase immobile nel pagliericcio, sporco della sua diarrea, sempre più magro e pallido, con bruciori lancinanti in bocca e dolori ovunque alle ossa. Erano i sintomi dell’intolleranza al glutine, la celiachia. Morì ai primi freddi d’autunno.
Per Jebel andò meglio e dopo qualche tempo il suo corpo si adattò a quel nuovo cibo e la dissenteria (dovuta anche all’intolleranza al lattosio) si attenuò. Forse le granaglie fatte di un grano antico, più povero di glutine rispetto agli odierni, manifestarono su di lui una celiachia meno pronunciata; o forse Jebel era già portatore di una mutazione genetica di tolleranza.
L’anno successivo ci fu un assedio da parte di popolazioni ostili, fortunatamente le mura possenti resistettero e l’aiuto che Jebel prestò nei momenti più critici della guerra venne riconosciuto e, al termine del conflitto, fu lasciato libero. Da quel momento si guadagnò da vivere come artigiano, sfruttando la sua grande abilità nel conciare e cucire pelli. Si sposò infine con una bellissima fanciulla, già figlia di schiavi, dagli inconsueti colori scuri della pelle, ma con occhi azzurrissimi, come specchio del cielo. Ed ebbero in Gerico discendenza. Per millenni.
Finché un giorno disse il Signore a Giosuè: «Vedi, consegno in mano tua Gerico e il suo re, pur essendo essi prodi guerrieri. Voi tutti idonei alla guerra, girerete intorno alla città, percorrendo una volta il perimetro della città. Farete così per sei giorni. Sette sacerdoti porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno, poi, girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le trombe. Quando si suonerà il corno d’ariete, appena voi sentirete il suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo salirà, ciascuno diritto davanti a sé» …
Come il popolo udì il suono della tromba e lanciò un grande grido di guerra, le mura della città crollarono su sé stesse; il popolo salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e si impadronì della città. Votarono allo sterminio tutto quanto c’era in città: uomini e donne, giovani e vecchi, buoi, pecore e asini, tutto passarono a fil di spada. (Giosuè 6-1-20).
Una discendenza di Jebel, mescolata alle nuove genti, riuscì a sopravvivere, dopo infinita mescolanza, selezione genetica e rielaborazione culturale. Siamo noi.

Divagazione scientifica


Il neolitico fu una rivoluzione radicale anche dal punto di vista genetico: in un tempo rapidissimo (oggi i genetisti dibattono su come eccezionali mutazioni possano essersi determinate in tempi così brevi) si selezionarono fondamentali varianti genetiche nella popolazione umana. La tolleranza al glutine (circa il 99 % della popolazione europea attuale) e la permanenza della lattasi in età adulta (85 % dell’attuale popolazione adulta), consentirono una migliore e più regolare alimentazione con granaglie, latte e latticini; i lattanti poterono quindi essere svezzati in tempi molto rapidi, con pastoni caseo-cerealicoli. La fertilità della donna aumentò di conseguenza, determinando un esponenziale incremento demografico. In tutto il mondo allora conosciuto venivano costruiti piccoli manufatti di pietra, simboli di adorazione della fertilità delle veneri preistoriche, cosiddette callipigie o steatopigie, simulacri di donne dalle belle e grasse natiche e con seni prorompenti.
Oggi la celiachia (intolleranza al glutine) rappresenta la genetica di un uomo antico, memoria ancora presente del nostro paleolitico.
Nel nostro tempo si tende a mitizzare l’alimentazione del paleolitico - con assenza di glutine da granaglie e priva di latte e latticini per gli adulti - ma l’aspettativa di vita dei nostri “eroi” dei Monti Zagros raramente arrivava a 30 anni. La vita fatta di caccia (poca e più spesso l’apporto proteico era fornito da carogne) e di raccolta (tuberi, bacche, frutti, insetti) era misera ed avvilente. Più volte l’uomo del paleolitico rischiò l’estinzione.

(Nell’immagine: la città di Gerico)
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