l'origine della religione - I libri e i racconti

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Circa l'origine della religione
“Dal dì che nozze, tribunali ed are/ diero alle umane belve esser pietose/ di se stesse e altrui…”, così iniziano i Sepolcri di Ugo Foscolo: arae , cioè gli altari, cioè la religione intesa dal Foscolo come uno dei principali fattori di trasformazione da belve in umani, la religione come starter di civilizzazione.

Cosa vuol dire religione?
La parola è etimologicamente complessa: potrebbe derivare dal latino “relegare” cioè rileggere, riconsiderare un testo sacro; oppure “religere”, cioè legare insieme una comunità, ossia legarla ad una divinità. In senso lato, religione potrebbe intendersi come l’atteggiamento spirituale di chi, anche ateo, si pone domande su se stesso e le cose del mondo, con una riflessione insieme razionale ed emotiva.
La religione originerebbe in tempi antichissimi, allorquando i nostri predecessori, cacciatori- raccoglitori del paleolitico, prendono consapevolezza della morte, probabilmente grazie allo sviluppo dei”neuroni a specchio”, classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un'azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare tra conspecifici). I neuroni dell'osservatore "rispecchiano" quindi il comportamento dell'osservato, come se stesse compiendo l'azione egli stesso, suscitando tra l’altro sentimenti di empatia, di compassione. Pertanto l’uccisione di una bestiola cacciata o la morte del compagno, possono in tale contesto svelare “il divenire delle cose”, il trasformarsi e quindi il morire, di altri o di noi stessi; e fu una scoperta sconvolgente. Anche la visione di imponenti fenomeni naturali (tuoni, fulmini, fiumi e cascate, eruzioni etc) induce ad una riflessione sul divenire delle cose e sulla possibile morte altrui e individuale.

I Greci antichi esprimevano tale turbamento con il termine THAUMA, che può essere tradotto come miracolo, ma anche con l’accezione di “sgomento”, sgomento appunto nei confronti del divenire di tutte le cose e quindi del morire.
Al thauma occorre apporre e opporre con urgenza “risposte”, onde “contenere” il turbamento. Nel corso della storia della nostra civilizzazione, le possibili risposte sono state molteplici:
lo sviluppo di una mitologia; dalla mitologia originò probabilmente una religiosità prima semplice “magica” e “sciamanica” e via via più sofisticata; con Talete di Mileto (VII-VI sec. a.C.), comunemente considerato il primo filosofo della storia occidentale, inizia una ricerca razionale attorno a sé stessi e alle cose; infine perviene la scienza positivistica a pretendere di spiegare ogni cosa; e, in tempi recenti della nostra storia umana, anche l’ideologia ha talora cercato di fornire “risposte” totalizzanti.


FORME MONOTEISTE DELLA RELIGIONE
Oggi comunemente identificate con l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam.
Tuttavia, molto probabilmente, il concetto di entità superiore unica è molto più antico.
I documenti storico/archeologici fanno in particolare riferimento alla formulazione eretica, “monoteista ante litteram” del dio unico solare Aton, XVII dinastia dell’antico Egitto (XIII sec. a.C.). E’ il faraone Amenophi IV, verosimilmente ispirato dalla bellissima consorte Nefertiti di origini orientali/ittite, a proporre e imporre un culto monoteista, soppiantando le molteplici divinità del Phanteon egizio (e quindi tagliando fuori il “potere” della casta sacerdotale che da esso traeva legittimazione). Cito dal “Grande inno ad Aton”: “bella è la tua luce sulle frange del cielo, tua, Aton di vita, primo dei viventi! Quando a oriente ti levi, riempi ogni Paese con la tua bellezza. Perché sei bello, grande, scintillante e alto sulla terra: i tuoi raggi abbracciano i paesi, tutto quello che tu hai fatto: Tu sei Re e li hai fatti tutti prigionieri, li tieni incatenati col tuo amore. Sei lontano ma i tuoi raggi sono sulla terra, sei là in alto ma le tue orme sono nel giorno”.
Azzardo inoltre l’ipotesi che l’idea di un dio unico possa essere molto più antica, sebbene documenti storico/archeologici a riguardo siano minimi o nulli. Mi riferisco in particolare alla misteriosa Civiltà delll’Indo, sviluppatasi grosso modo tra il 3000 e il 1500 a.C. nella valle dell’Indo (odierna zona di confine fra Pakistan e India).
La civiltà dell’Indo (civiltà di Harappa e di Mohenjio Daro, dai nomi dei siti archeologici principali) parrebbe aver sviluppato
il concetto dello zero, lo zero matematico, che da essa viene denominato “SUNIA”, uno zero con valenze simboliche importanti, inteso come spazio celeste, infinito e vuoto, un vuoto con un senso etimologico diverso, non assenza ma presenza divina.  Una entità superiore quindi unica. E da qui, chissà attraverso quali vie (civiltà iraniche, ittiti?), il concetto potrebbe essere giunto fino all’Egitto di Amenophi IV. Ma sarà Mosè (probabilmente contemporaneo di Amenophi IV e poi di Ramsete II) a comprendere appieno la valenza rivoluzionaria di tale concezione divina e spirituale e promuovere un esperimento antropologico di alchimia sociale: il popolo ebraico in cattività viene liberato e condotto in una lunghissima peregrinazione , 40 anni cioè una generazione, nel deserto, così che nella “Terra Promessa” possa giungere, morti i genitori, soltanto la successiva generazione, non contaminata dall’antico e formata ai nuovi valori spirituali. (Qualcosa del genere avrebbe tentato di fare, 3000 anni più tardi e in modo molto più sbrigativo e cruento, Pol Pot, nella Cambogia dei Kmer Rossi…). Il monoteismo ebraico non è tuttavia presente dalle origini: i libri della bibbia più antichi indicano Dio con il termine Elhoim, che è plurale, gli Elhoim; successivamente Dio è indicato come Yahweh (o meglio YHWH, cioè senza vocali e quindi impronunciabile, innominabile); inizialmente un Dio “proprietario” e geloso del popolo ebraico, in compresenza con altri dei di popoli diversi, e infine Dio Unico e Assoluto (da Isaia).

EVENTI STRAORDINARI
Una serie di eventi straordinari accadono intorno al 6° sec. a.C., in tutto il mondo, in luoghi remoti senza possibilità di reciproco contatto o influenzamento, quasi che l’umanità abbia maturato allo stesso tempo in luoghi diversi, una sorta di metamorfosi spirituale, la costruzione di un uomo nuovo, capace di influenzare con il proprio pensare ed agire infinite generazioni successive, fino ad oggi. Un perno su cui ha ruotato la storia dell’uomo.
Cinque uomini, oggi diremmo “illuminati”, nascono ed operano, necessariamente all’insaputa l’uno dell’altro, in europa ed asia, fra l’inizio e la fine del VI sec. a.C.: il denominatore comune del loro pensiero è la convinzione che il singolo essere umano abbia la possibilità di giungere in rapporto diretto con la realtà spirituale, senza mediazioni.

Il primo, iranico, è Zarathustra, grande riformatore religioso del Mazdeismo (praticato ancora oggi presso i Parsi), che influenza le religioni bibliche (giudaismo e successivamente cristianesimo e islamismo) con la definizione di male e bene contrapposti, con il concetto di immortalità dell’anima e dell’esistenza di un “giudizio” finale.
Il secondo è Isaia (o meglio Deutero-Isaia), il più grande profeta ebraico, codificatore di un assoluto monoteismo ed elaboratore del concetto di messianesimo (“verrà Dio sulla Terra a salvare l’uomo”: Gesù Cristo (dal greco Christos = unto dal Signore ovvero benedetto), sei secoli dopo, interpreterà il ruolo; altri – ricordo “Apollonio di Tiana” (Siria I sec. d.C.), e poi “il figlio della Stella” (Vicino Oriente tra il I e il II sec.d.C.) e molti altri ancora– tenteranno anch’essi, con minor “fortuna”, di svolgere lo stesso compito, cioè di “interpretare” le Sacre Scritture, le antiche profezie messianiche…).
ll terzo è Siddharta Gautama, meglio conosciuto come Buddha, nato a Kapilavastu, piccola città stato entro le frontiere dell’odierno Nepal, che in seguito operò nel territorio dell’attuale Bihar indiano: fra i 5, fu l’unico a rifiutare ogni coinvolgimento politico. La sua riforma religiosa (o filosofica) origina da una profonda revisione della religione induista, con il rifiuto delle divisione in caste, una riconsiderazione dei concetti di Dharma, Karma e Samsara (la legge, il frutto delle azioni compiute, l’eterno ciclo di morti e rinascite), l’identificazione del desiderio con la sofferenza, la negazione dell’esistenza dell’individuo, il suggerimento di “una via di mezzo” fra ascetismo estremo e obbedienza al desiderio mondano (in questo vi fu una profonda contrapposizione con il contemporaneo jainismo – da Jina, ovvero “il vincitore”- di Vardhamana), e il percorso che porterà all’annullamento dei desideri e dell’individuo, ovvero all’illuminazione, nel raggiungimento della realtà ultima del Nirvana. (Da un punto di vista “umano”, il principe “Shakamuni” non ebbe tuttavia molta “compassione” per la famiglia: abbandonò moglie e figlio e nulla fece dopo che genitori e fratelli, regnanti in Kapilavastu, vennero sterminati in una guerra fra città stato…).
Facendo una digressione è appunto la religione induista a rappresentare il terreno culturale/spirituale in cui origina la riflessione del Buddha: questa, nel corso dei secoli, aveva via via modificato i propri aspetti più esteriori con una introspezione spirituale profonda (e qui forse in qualche modo ricollegandosi alla ipotetica profonda spiritualità della Civiltà dell’Indo, pre-Vedica, che appunto la precedette), accogliendo la pratica della meditazione alla ricerca della “realtà ultima”. Le conclusioni furono che l’anima umana (“aiman”) è identica alla realtà ultima (“braham”), intuizione espressa nelle 3 parole sanscrite “tat tvam as”, ovvero “tu”, cioè l’anima umana, “sei questo”, ovvero la realtà ultima.
Per secoli il Buddismo si diffonde, si diversifica, arriva fino ad oggi. I concetti di “Tolleranza e Compassione” riescono a penetrare persino sul piano polico: ricordo il regno/impero di Ashoka, 3°sec. a.C., in India, quando la tolleranza e compassione (oltre ad essere un utile collante politico fra litigiose etnie e religioni diverse) si diffondono ovunque nella società (vengono persino costruiti ospedali per animali). Ricordo anche i regni buddisti Kmer della Cambogia dell’anno 1000 d.C., simili per caratteri di tolleranza e compassione. Quale differenza con le “teocrazie” integraliste violente intolleranti e brutali, prima dell’occidente cristiano (crociate, inquisizioni e roghi) e, in tempi recenti, dell’oriente islamico!
Molto simile al Buddha per tanti aspetti, il quarto grande uomo, ovvero Pitagora, nato nell’isola ionia di Samo e operante nella greca Crotone: per entrambi la morte non è la fine della vita ma è normalmente seguita da una rinascita; e questo avverrebbe “ad infinitum”, a meno che, per entrambi, non si pongano misure efficaci per spezzare questo circolo doloroso. Del pensiero di Pitagora oggi, a differenza degli altri grandi pensatori, non è rimasto moltissimo, e, fra i tanti aspetti della sua scuola filosofico/iniziatica, ricordo il libero accesso a tutti, anche alle donne (uno scandalo di proporzioni inimmaginabili nella patriarcale cultura greca!).
Confucio, nato nello stato cinese di Lu, la cui opera morale è tutt’oggi presente nell’universo cinese, è il quinto “illuminato”: il Cielo (T’ien), entità sovrapersonale ovvero l’impersonale spirito della Legge, recepito dai padri fondatori della società cinese e vincolante per ogni uomo, imperatore compreso.

Segue…

(Nell’immagine: la caduta di Saulo, Caravaggio)


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