I pazienti del dr. Claud raccontano - I libri e i racconti

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Un tè alle case minime
Il mio primo lavoro da neolaureato è stato prestare servizio in guardia medica notturna a Milano.
Percorrere nella notte ogni anfratto della città ha il suo fascino.
In poche ore si visitano tante persone nelle loro case, in realtà diversissime, conoscendo l’estrema povertà e l’estrema ricchezza, osservando le più svariate declinazioni della gentilezza di chi ti accoglie nella propria dimora.
Non si può avere idea di quante realtà sociali distantissime tra loro convivano in città, anche nella stessa via. Nella quotidianità percepiamo erroneamente come prevalente la stratificazione sociale che ci appartiene.
E poi ogni casa ha il suo odore, unico ed inconfondibile, l’impronta di chi ci vive.
Alle “case minime” del quartiere di Quarto Oggiaro (alloggi popolari di ridottissima metratura ad affitti calmierati, tipiche fino agli anni Ottanta) c’è una anziana coppia. Gina e Beppe sono sposati da sessant’anni, sono entrambi di piccola statura, poveri e malati, ma ricchi di reciproco affetto e squisita gentilezza. Ormai li conosco bene, perché hanno chiamato più volte il soccorso, sebbene abbiano soprattutto bisogno di una parola di conforto e di un sorriso. In seguito li vedrò anche di giorno, e così, con il pretesto di una visita di controllo, dispenso sorrisi ed approfitto della tazza di tè della Signora Gina.
Quei due deliziosi vecchietti ora non ci sono più, come le “case minime”, che sono state abbattute per lasciare il posto a dei moderni condomìnii.
Ogni volta che passo per quel rinnovato quartiere, sento ancora oggi il profumo del tè preparato da Gina per me ed il ticchettio del bastone di Beppe che viene ad aprirmi la porta...

L’abbaglio
Quando lavoravo in guardia medica notturna non sempre chiamavano persone anziane da visitare.
Al terzo piano di una graziosa palazzina viene ad aprirmi una ragazza dalle curve mozzafiato, un nasino perfetto, occhi verdi e lunga chioma nerissima, ed era pure succintamente vestita... Si tratta di un febbrone da cavallo, l’influenza ha mietuto un’altra vittima, bisogna fare un’iniezione di antipiretico.
Anche i medici sono fatti di carne e la mia obbiettività cominciava a distrarsi…
Con la siringa in mano già carica punto al gluteo, ma vengo fermato dalla ragazza… «Dove pensa di fare l’iniezione dottore? Sa, c’è un problema… Non ho un centimetro di pelle che non sia stato siliconato e rifatto».
Cerco di contenere l’imbarazzo e con finta nonchalance opto per l’accesso venoso.
Mi fermo poi a parlare per una decina di minuti con Roberta, che scopro essere una nota trans della zona Vigorelli.

La ragazza greca

Al termine di ogni visita sovente mi intrattengo per qualche minuto a fare due chiacchiere con il paziente, ad osservare i quadri, le suppellettili della casa e magari le fotografie in mostra sul comò.
Nella sala dell’anziano signor Osvaldo, sopra una consolle stile impero, mi soffermo a guardare la foto sbiadita e seppiata di un gruppo di militari con lo sfondo lontano di una marina. «C’è anche lei in questa fotografia? Dove si trovava?» - chiedo con discrezione. Osvaldo non risponde subito e gli occhi si fanno lucidi. «Sono morti tutti, tutti e novemila i commilitoni della mia divisione, la Acqui, nell’eccidio di Cefalonia del settembre 1943. Mi sono salvato perché nascosto in una cantina da una ragazza greca».
Resto ammutolito, mi commiato e mi faccio accompagnare alla porta dalla moglie di Osvaldo. Ormai varcata la soglia mi raggiunge a fatica l’anziano: «Dafne - mia moglie - è lei la ragazza greca…».

Indegno sostituto
A volte le fotografie in bella mostra sulla cassettiera dell’ingresso sono di tenore più sereno.
A chiamare nella notte è un signore benestante. Abita in un lussuoso appartamento all’ultimo piano di un grattacielo, nella zona di Porta Romana.
Risolvo con poco impegno ed in breve tempo il malanno. Al termine della visita il paziente non finisce più di ringraziarmi, lodando le mie qualità diagnostiche e terapeutiche. Sono persino imbarazzato.
E poi, come per scusarsi per aver chiamato in piena notte, riferisce di non aver reperito a quell’ora il suo medico curante. In quel preciso istante la mia attenzione viene catturata dall’immagine ritratta in una fotografia posta in bella mostra nell’ingresso di casa. Ritrae il padrone di casa amichevolmente abbracciato a Lui, sì la fisionomia è inconfondibile, a Christiaan Barnard, il noto chirurgo sudafricano, assurto a fama mondiale per aver praticato nel 1967 il primo trapianto di cuore della storia della medicina. «Sì, è lui il mio medico curante… » - precisa il paziente con malcelato vanto.
L’imberbe dottorino che sostituisce il più famoso trapiantologo del mondo… Non ci posso credere…
È ormai l’alba. Transito per una deserta Piazza del Duomo, mai così bella al primo chiarore, diretto verso quella panetteria che apre presto e sforna squisite brioches calde.
La felicità è fatta del profumo di piccolissime cose.

(Nell’immagine: Egon Schiele, il confine della città)
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