William Turner e la luce - I libri e i racconti

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Omaggio alla Luce e a William Turner (Sunset over the lake, 1840, Tate, London), suo massimo interprete.
La Luce non ha potuto viaggiare liberamente nell’Universo prima di 400.000 anni dal Big Bang.
Ebbe quindi origine la Luce; e Luce ci sarà fino al “grande strappo”.
L’energia oscura o energia del vuoto (la “costante cosmologica” già prevista da Einstein) definisce quella forza antigravitazionale presente in tutto l’universo e spiega la sua espansione accelerata. Alla fine dei tempi la morte dell’universo si verificherà verosimilmente con un “big rip”, ovvero con un “grande strappo”, tale da dilaniare ogni cosa esistente e, presumibilmente, anche il più minuto degli atomi svanirà in un nulla cosmico. La formulazione del secondo principio della termodinamica (nota dalla fine dell’Ottocento) prevede lo spegnimento di ogni cosa al raggiungimento dell’equilibrio di massima entropia.
La luce quindi svanirà; la luce è un intervallo fra eterni bui.
Oggi possiamo godere della bellezza della luce del nostro sole, declinata nei rossi, nei gialli e negli arancioni delle albe e dei tramonti più struggenti, nel bianco giallo dei suoi accecanti mezzodì e persino nell’infinita gamma dei grigi quando è velato dalle nuvole. Viviamo infatti nel fortunato “breve” periodo di luce dell’universo (breve, rapportato ai suoi tempi incommensurabili): l’attuale luce nell’universo è quindi solo un piccolo intervallo fra eterne tenebre.
La bellezza della luce ci sarebbe ignota se non fosse per la vista, facoltà biologicamente “recente”, comparsa nel nostro mondo “solo” dal Cambriano - circa seicento milioni di anni fa - dopo tre miliardi di anni di evoluzione con forme di vita assolutamente cieche. Fu un verme marino - la Platynereis Dumerilii - a sviluppare per la prima volta tale rivoluzionaria facoltà, con due sole cellule visive, un fotorecettore ed una cellula pigmentata. Gli occhi, nella loro completezza, arriveranno molto più tardi.
Suppongo infine che solo la nostra specie – Homo Sapiens Sapiens, presente sulla scena del mondo da circa duecento mila anni – abbia, ed in rare occasioni, l’opportunità dell’”otium”, con cui poter riflettere nella propria coscienza della bellezza della luce e del colore.
Invidio i grandi artisti della pittura che sono riusciti, più di qualsiasi altro essere umano, a cogliere, godere, esprimere e celebrare tale bellezza. Con incanto ammiro il blu lapislazzulo dei cieli di Giotto, il plumbeo cielo delle tempeste del Guercino, l’azzurro pallido e rosato delle aurore del Tiepolo, lo straniante blu monocromo di Klein, i verdi infiniti dei giardini di Monet, il giallo dei soli di Pellizza da Volpedo, il bianco accecante e l’azzurro tenue delle montagne innevate di Segantini… Ma soprattutto contemplo i gialli, gli arancioni ed i rossi dei tramonti di William Turner.
Turner, massimo artista del colore, nel turbinio irruento della sua tavolozza, riesce ad esprimere qualcosa di inappagato, di incolmabile, persino di doloroso, proveniente dalla luce esplosiva del sole declinante. I suoi quadri ci raccontano di una luce troppo bella ed intensa, tale da portarci alla frustrazione per l’incapacità a comprenderla appieno e goderne fino in fondo lo splendore.
In definitiva la luce avrebbe qualcosa di alieno alla nostra comprensione, un’estraneità di fondo che la rende incatturabile. La luce, così ben rappresentata da Turner, mirabile potenza dionisiaca sfuggita chissà come da un Paradiso lontano e negato, sarebbe tale da suscitare contemporaneamente nell’uomo rabbia e gioia - odi et amo – come direbbe Catullo...
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