Alla ricerca di malattie rare - I libri e i racconti

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Klinefelter, un caso intrigante
C’è stato un tempo - che ormai mi appare così remoto da dubitare di averlo vissuto – nel quale la medicina era dominata dal fattore umano, più che da quello tecnologico. In quel tempo - niente computer e poca burocrazia - la mia giovanile curiosità doveva spesso fare i conti con la routine diagnostica della casistica ospedaliera. Una gran pizza di scompensi cardiaci cronici, diabeti complicati, broncopneumopatie croniche: malattie di scarsa soddisfazione per chi ne era affetto ma anche per chi doveva diagnosticarle e curarle, tutta roba facile da individuare e pressoché impossibile da guarire. Allora, però, c’era il tempo di parlare con i malati e la frustrazione professionale era compensata da relazioni umane ricche e gratificanti.
Il signor Giovanni, per esempio, era ricoverato nel reparto di medicina per una “banale” forma di diabete mellito, seppure molto scompensato. Il suo caso dunque non rivestiva un grande interesse clinico, ma la sua simpatia favoriva confidenze e chiacchiere amichevoli. Giovanni mi raccontava del desiderio di avere un figlio; ma per quanti tentativi avesse fatto con la consorte, non si era finora realizzato il sogno di un erede.
L’indagine poco appassionante sulla sua sterilità prevedeva un esame del seme, con conseguente produzione artigianale da parte del paziente e invio al laboratorio del suo sperma per esplorarne pregi e difetti. Ma io, al tempo, non avevo rinunciato alla ricerca diagnostica di più intriganti alternative (va detto che le diagnosi “interessanti” per noi medici sono vere sciagure cliniche per i pazienti). Giovanni, però, aveva attivato in me reminescenze didattiche dissepolte dalla mia memoria fotografica: aveva quelle che il manuale di clinica medica definiva proporzioni eunucoidi (alto con fianchi larghi e femminei), scarsa rappresentazione di peluria virile e genitali molto piccoli. Gli scarsi attributi sessuali di Giovanni avevano incentivato il mio fervore diagnostico, cosicché gli avevo anche chiesto una mappa cromosomica, nel sospetto clinico della sindrome di Klinefelter: 3 cromosomi sessuali, XXY, in luogo di 2, XX nella donna o XY nell’uomo. L’indagine citogenetica non era un esame di routine e comportava quindi attese lunghe, a differenza dell’esame a fresco del seme che avrebbe potuto essere espletato subito, se… appunto: se…
Tutte le mattine la disagevole domanda: è pronto l’esame? Sconsolato il paziente rispondeva che no, il deprimente ambiente ospedaliero non riusciva in alcun modo ad ispirarlo. Una mattina non passò inosservato il transito in reparto di un gran tocco di figliola, procace femmina poco più che adolescente. «Chi è, chi è?», la domanda correva di camice in camice e il nostro Giovanni, molto orgoglioso e un po’ beffardo, rispondeva: «la mia adorata nipotina». Misteriosamente, quella mattina, l’agognato spermiogramma divenne finalmente disponibile.
Molto tempo dopo il responso definitivo dell’esame cromosomico confermava il sospetto clinico di sindrome di Klinefelter: Giovanni non avrebbe mai potuto generare un figlio. Anni dopo seppi che Giovanni e consorte accudivano con grande gioia un bimbetto adottato.

(Nell’immagine: natività di Giotto)


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