Dr House: la prima diagnosi non si scorda mai - I libri e i racconti

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Il sorprendente Dr. House: la prima diagnosi non si scorda mai

Sì, fu la prima, la prima diagnosi in assoluto da me suggerita nella prima ora di servizio in ruolo del primo giorno di lavoro in ospedale. Correva un anno ormai preistorico e la diagnostica era limitata all’osservazione e all’intelletto: anamnesi, esame obbiettivo con una buona semeiotica, essenziali esami di laboratorio e sparute radiografie. Certo, ma in casi eccezionali si ricorreva anche a qualcosa di più sofisticato. Ero giunto in ruolo molto in ritardo perché, figlio di un Dio Minore e senza tessere di partito, ero regolarmente stato scartato in tutti gli innumerevoli concorsi pubblici espletati, benché sempre vincitore degli stessi. Ancora ricordo le minacce: «Si ricordi dottor Sironi che qui dovrà fare le biopsie epatiche che, come sa, sono pericolose; la faremo sbagliare e Lei appenderà la laurea al chiodo, se mai farà valere i diritti di vincitore di concorso, venendo qui…»
Fortunatamente non tutti furono così scorretti. Il primario di una divisione di medicina interna in un grosso ospedale dell'hinterland milanese, che non conoscevo, mi interpellò pochi giorni prima della scadenza biennale della validità dell’ennesimo concorso di cui ero vincitore. Senza preamboli mi disse: «Guardi dottor Sironi che la stanno fregando…». In effetti l’amministrazione aveva già assunto in ruolo gli aspiranti assistenti fino all’undicesimo nella graduatoria del concorso. Peccato che io fossi il secondo, "saltato" e "dimenticato". Fatte valere le mie ragioni, grazie all'informazione e all’onestà del primario, ottenni immediatamente l’immissione in ruolo. Un giorno prima della decadenza della graduatoria.
Torniamo alla prima ora del primo giorno di lavoro in corsia ospedaliera, giovane assistente comprensibilmente un po’ intimorito e molto spaesato, appena reduce per di più da tale ruvida prova sulla mia pelle ancora delicata di giovane aspirante medico ospedaliero. Prova che aveva scosso alcune mie certezze ma me ne aveva rinforzate, forse, altre. Compresa quella che c’è sempre una seconda possibilità.
«Prenda confidenza con i pazienti, legga le cartelle cliniche», mi suggerì l’aiuto anziano. Mi incuriosì la storia clinica di un paziente che avrebbe dovuto iniziare, di lì a pochi minuti, una pesante chemioterapia per un "linfoma non-Hodgkin". Aveva, sotto il cuoio capelluto una poco evidente sutura chirurgica. «Caro signore, che cosa le è accaduto alla testa?». «Non me lo ha mai chiesto nessuno… del resto la cicatrice è ben nascosta dai capelli; molti anni fa ebbi un incidente stradale con conseguente trauma cranico ed intervento di rimozione di un ematoma. Nessuna conseguenza grave ma da allora devo assumere quotidianamente degli antiepilettici…».
Restai ammutolito, mi feci coraggio e con tutta l’umiltà richiesta dal caso, mi rivolsi sottovoce all’aiuto anziano: «È stata considerata la possibilità di uno pseudo-linfoma da antiepilettici?». Non ebbi risposta ma con abile mossa da stopper navigato l’anziano collega bloccò "in zona Cesarini" la solerte infermiera già pronta con il siringone della prima chemioterapia. Per i "non addetti ai lavori": lo pseudo-linfoma, possibile e raro effetto collaterale di alcuni antiepilettici, mima l’espressività clinica del vero linfoma (tumore maligno) ma di fatto "non è nulla" e si risolve in breve tempo con la semplice sospensione/sostituzione del farmaco antiepilettico. Poche ore dopo sentii gridare il patologo dal lontano laboratorio: «Disgraziati che siete! Non mi avete fornito l’elemento anamnestico essenziale per una diagnosi differenziale fra linfoma e pseudo-linfoma - questo è uno pseudo-linfoma!». Allora non esisteva una metodica diagnostica come l’immunoistochimica, giudicava solo l’occhio esperto al microscopio. Non oso immaginare le conseguenze che sarebbero seguite ad una inutile e pesantissima chemioterapia. Quel giorno, il mio primo giorno, sicuramente mi guadagnai lo stipendio con il solo suggerimento di una parola: pseudo-linfoma.
Molti anni dopo, i maligni suggerirono che gli unici linfomi che avevamo saputo curare... erano quelli che non c’erano.
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