Una partita a scacchi con Dio - I libri e i racconti

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Lettera aperta al Padreterno
 
Caro Divino (come preferisco chiamarti),
 
da qualche tempo mi arrovello con l’idea di scriverti, ma rimando, come puoi immaginare sono un po’ intimorito. Ma devo affrettarmi, come sai il tempo di noi umani è limitato e le attuali sciagure planetarie suggeriscono che potrebbe non esserci ancora molto tempo.
 
Devo innanzitutto scusarmi con Te per essere stato poco presente negli ultimi tempi, diciamo da tremila anni, anno più, anno meno. Eh sì! Perché prima Tu eri altra cosa, incarnavi (incarnavi?) il principio femminile, e ti preferivo assai.
 
Ricordo il culto tenerissimo che agli albori della civiltà tributammo alle Dee Madri, prima preistoriche e poi dell’area mediterranea e mediorientale.
 
In seguito assumesti nomi diversi e declinasti i più svariati aspetti. Indossasti le vesti della birichina e ribelle Inanna-Ishtar del mondo sumerico ed accadico babilonese. Ti evolvesti quindi nell’Astarte semitica, che si trasformò nell’egizia Iside (la mia preferita, sposa e madre amorevole).
 
Non sempre incarnasti un principio femminile benevolo: fosti la crudele Cibele anatolica, con il capo tutto turrito e l’ambivalente ruolo di forza creatrice e distruttrice della natura - in questo così simile alla dea indiana Kali.
 
Per fortuna ti trasformasti poi nella più rassicurante Artemide, arcadica e greca, e polymastos, cioè dai tanti seni. In tuo onore venne costruito il tempio di Efeso, una delle sette meraviglie del mondo antico. È sulle rovine di quel tempio, in evidente continuità, che il concilio ecumenico di Efeso (431 d.C) affermò il dogma del Theotókos, titolo cristiano attribuito a Maria di Nazareth, che significa Genitrice di Dio.
 
Per motivi insondabili, ad un certo punto, hai operato un deciso cambio di rotta e di genere, e ti sei trasformato in una divinità unica e gelosa, maschile e terribile, nel Dio vendicatore descritto dalle religioni del Libro. Lo abbiamo chiamato monoteismo. Da allora mi sono allontanato da Te.
 
Perché questa metamorfosi?
 
Ma si sa, Tu sei l’Inconoscibile.
 
Nell’Universo vedi ovunque la bellezza della Tua Creazione, intuisci persino il Sublime; ma trovi anche infinita sofferenza.
 
A noi mortali non è dato saperne il perché.
 
Talvolta - sicuramente sbagliando - potremmo pensare che, nella Tua declinazione maschile, Tu abbia fatto qualche pasticcio.
 
Caro Divino, i tempi attuali non sono dei migliori per noi umani. Tu dirai che è solo colpa nostra, abbiamo troppo prolificato e consumato, scherzato oltre ogni misura con Madre Natura. Ma sei in fondo Tu che ci hai dato queste prerogative e persino il libero arbitrio.
 
Ad ogni buon conto, impossibilitato ad uscire nel mondo appestato, mi sto annoiando a morte in attesa, appunto, di un possibile trapasso in ogni momento. Quindi, anche per ammazzarlo, il tempo, ti propongo un gioco, da farsi proprio qui sul mio balcone di casa. Ti propongo di giocare a scacchi, un gioco umano antico, che Tu sicuramente conosci.
 
Suppongo che per grandezza questo gioco sia commensurabile con la Tua Infinità: il numero teorico delle possibili combinazioni di gioco è maggiore della somma di tutti gli atomi dell’Universo. Sono un mediocre giocatore, tuttavia Ti sfido. Ti concedo persino il vantaggio di un pedone! Ma come in ogni gioco c’è una posta.
 
Se - come probabile - perderò, ti pregherei di far sì che tutto immediatamente finisca: fulminerai me con l’intero globo terracqueo, in fretta però, ché la noia dell’attesa è proprio insopportabile. Che ne so? sei Tu l’esperto, magari potresti scagliare un asteroide, ma bello grosso, mi raccomando!
 
Se - come improbabile - vincerò, dovrai concedermi di poterti almeno tirare le orecchie.
 
Ti aspetto in ogni momento - ti è comodo il mio balcone di casa? - sai dov’è.
 
Con ossequio.
 
Sono trascorsi due anni dall’inizio della pandemia e nulla di tutto ciò è successo.
 
La logica suggerisce due opzioni: Dio non sa giocare a scacchi, oppure non esiste.
 
Ma c’è un’altra possibilità… che l’Altissimo, nella Sua infinita Provvidenza, abbia voluto concedermi del tempo per riordinare idee e polverosi cassetti. Così ho rovistato nel ciarpame accumulato negli anni e ho scoperto carte e polverosi oggetti dimenticati, ma di profondo significato.
 
Ho ritrovato un piccolo e polveroso libretto sulla mitologia greca, dove si racconta della superbia e della tracotanza (hibris) dell’uomo, per ciò puntualmente punito dagli dèi.  
 
In particolare mi ha colpito la storia mitologica di Aracne, giovane tessitrice della Lidia. Le sue tele, bellissime, la portarono a credersi più brava degli dèi, a spingersi oltre i suoi limiti di donna e di essere umano. Quando la fama delle sue prodezze giunse alle orecchie di Atena, la dea si travestì da anziana per ammonirla e consigliarle di non perdere l’umiltà, rispettando i confini tra dèi e uomini. L’ammonimento non bastò e la ragazza continuò a sfidare gli dèi con tessiture sempre più belle: la fanciulla venne di conseguenza trasformata in ragno (Ovidio, Metamorfosi). Devo anch’io prepararmi ad una metamorfosi?
 
Tuttavia un altro ritrovamento mi ha dato qualche speranza. Nell’ultimo cassetto, avvolto in un vecchio foglio di giornale, c’era una coppa arruginita: rappresentava un trofeo di scacchi, primo classificato, vinto mezzo secolo addietro nelle competizioni sportive del liceo.
 
Credo che il Padreterno abbia voluto ammonirmi: «Prima della nostra competizione, raschia un po’ di ruggine e ripassa la materia scacchistica, affinché tu almeno non faccia una figuraccia… Sono io ad aver inventato il gioco degli scacchi come ogni gioco esistente, ma ho bisogno di giocatori competenti, altrimenti che noia! Perderai ma se perderai con onore non ti fulminerò, questa volta. A te basti considerare che il bello del gioco, di ogni gioco, non è tanto vincere, ma giocare e ben competere!»
 
 
 
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