Le Americhe - I libri e i racconti

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L'Amazzonia
Attorno a 20.000 anni fa, popolazioni asiatiche allo stadio del paleolitico superiore, in piena epoca glaciale, attraversavano lo stretto di Bering tra Asia e America: l’abbassamento del livello degli oceani aveva consentito l’affiorare di uno stretto ponte di terra ghiacciata, ove inseguire la selvaggina.  Nei pochi millenni che seguirono, questi uomini con i loro sciamani percorsero tutta la cordigliera dei continenti americani, fino alla Patagonia.
 
La grande fauna americana, a differenza di quella del vecchio continente, non si era co-evoluta con l’uomo, non aveva pertanto appreso a temere l’uomo e a difendersene…e venne sterminata, totalmente, da tali uomini (emblematico è il caso del cavallo, presente fino a 20000-10000 anni fa nelle Americhe ma radicalmente sterminato e reindrodotto “ex novo” nel continente solo dopo Cristoforo Colombo).
 
Quindi per quasi 20 000 anni (ridiventato invalicabile lo stretto di Bering) questi uomini del paleolitico superiore non ebbero più contatti con il resto dell’ecumene e si “evolsero” in modo del tutto autonomo. I primi contatti con il resto del mondo avvennero attorno all’anno mille della nostra era (il figlio di Erik il Rosso e i suoi vichinghi, provenienti dalla Groenlandia, approdarono a Terranova, ma non stabilirono colonie stabili – vennero probabilmente sterminati dalle popolazioni locali e se ne persero le tracce-). Un’ipotesi affascinante, ma senza uno straccio di una prova (solo congetture “logiche”) è quella dell’arrivo  di navi cinesi sulla costa pacifica nel quindicesimo secolo, poco prima dell’arrivo di Colombo (si trattava di navi enormi, tecnologicamente avanzate e molto superiori alle caravelle spagnole, capaci di percorrere in sicurezza enormi distanze, che avevano di certo già raggiunto la costa indiana dell’africa); ma, come è noto dalla storia, nella seconda metà del XV secolo, per certi versi inspiegabilmente, la Cina smantellò completamente la propria marineria e si chiuse (per secoli) autarchicamente in se stessa, nella propria sublime “terra di mezzo”.
 
 
1492: ecco arrivare tre miserrime caravelle (e cercavano le “indie”!!…Cristoforo Colombo aveva grossolanamente errato i calcoli delle dimensioni terrestri, non conoscendo o non considerando i precisissimi calcoli del meridiano terreste effettuati da Eratostene di Cirene in Alessandria d’Egitto, già nel III sec. A.C.).
 
Fine dell’isolamento e di un’esperienza evolutiva umana diversamente unica.
 
Prima Cortes e poi Pisarro e altri “conquistatores” spagnoli, poi portoghesi e infine olandesi, francesi e inglesi “sterminarono” le popolazioni autoctone con un genocidio fisico (totale, praticato dagli anglosassoni, parziale dagli altri) e culturale. Un ruolo non secondario nello sterminio lo ebbero le malattie “importate” (influenza, difterite, malattie esantematiche varie e soprattutto il vaiolo), che trovarono le popolazioni autoctone immunitariamente completamente indifese. Questo per lo meno fu involontario (ad eccezione degli anglosassoni che “regalavano”, oltre a porcherie d’alcool, coperte con pustole vaiolose ai pellerossa, primo esempio di guerra batteriologica finalizzata allo sterminio totale di uomini donne vecchi bambini). E in effetti oggi di pellerossa non ce ne sono più (eccetto qualcuno nelle riserve, un po’ come i panda), a differenza degli indios (mescolatisi con gli ispanici e sopravvissuti). A consolazione, gli amerindi possono vantarsi di averci “almeno” restituito una malattia, la sifilide, prima sconosciuta in Europa (anche se non tutti gli studiosi concordano).
 
Vorrei spendere ancora due parole sulla “bontà” degli spagnoli:
 
1) Cortes comprese abilmente (grazie soprattutto all’aiuto di una donna indigena, molto intelligente e capace di tradurre e fornire informazioni “politiche”) che l’establishment azteco era fortemente inviso alla popolazione (costretta a tributi costanti per sacrifici umani di donne e bambini) e alle nazioni viciniori (prede di guerra per costante rifornimento di prigionieri da sacrificare in modo seriale  sulle are delle piramidi, con il rituale strappo a mani nude del cuore a uomini vivi). Cortes seppe quindi agire con il sostegno di larga parte della popolazione e delle nazioni sottomesse, e per esse i “conquistatores” furono in parte una liberazione.
 
2) Bartolomé de las Casas, frate domenicano del XVI sec, si adoperò per una legislazione in difesa degli indios, presso la corte spagnola/Carlo V (non mi risultano analoghi episodi presso gli “Yankee”).
 
 
Diversa fu l’avventura, pochi anni dopo, di Pisarro nella conquista dell’impero INCA in Sudamerica: c’è dell’incredibile come un pugno di uomini (pur forniti di armi superiori e di cavalli) abbiano potuto sconfiggere un impero di milioni di uomini con eserciti organizzati di decine di migliaia di combattenti (un intreccio pazzesco di combinazioni fortunate fatte di profezie, superstizioni, fragilità interne dell’impero, del resto non conosciute da Pisarro, etc etc): e sicuramente molto più “umana” era la civiltà INCA che si andava a distruggere rispetto a quella Azteca .
 
Tremendo e “totale” fu soprattutto lo sterminio culturale di una civiltà avanzatissima e “diversa” di cui oggi, purtroppo, si sa pochissimo (città INCA immense o “impossibili”come Cuzco e  Machu Picchu; la rete stradale immensa e tecnologicamente avanzatissima -arditissimi ponti di corda lungo le direttrici nord-sud della cordigliera delle ande- per unire, tra loro, le sparse regioni del vasto impero, ma concepite per una utenza solo pedonale, non esistendo bestie da soma o carriaggi; una possibile forma di scrittura o solo di annotazione – non c’è unanimità di giudizio a riguardo- , comunque a tutt’oggi indecifrata: il quipu –sistema di corde – e la yupana –una specie di pallottoliere, con cui esprimere, attraverso funicelle di colori diversi e nodi, pallottole etc informazioni complesse e forse anche concetti).
 
 
Per concludere ci si chiede come avrebbe potuto svilupparsi l’insieme di queste civiltà separate dall’ecumene del vecchio mondo se solo avesse potuto proseguire per una strada autonoma ancora per qualche secolo: la costruzione di un uomo “evolutivamente” e spiritualmente diverso, capace di grandi espressioni di civiltà nell’arte, nell’architettura, nell’astronomia ma capace anche di grandi e particolarissime forme di crudeltà, arrivato con migliaia di anni di ritardo all’agricoltura, che conosceva la ruota (per giochi) ma non la utilizzava nei trasporti, che conosceva la metallurgia, ma non la applicava nelle armi. Eredi diretti del paleolitico superiore, le civiltà precolombiane pare abbiano mantenuto le radici più antiche e profonde dell’umanità più arcaica. Per esempio lo sciamanesimo e, parrebbe, la conservazione di forme linguistiche – in particolare il Quechua-, più vicine di qualsiasi altra lingua, al “nostratico” (la vagheggiata lingua comune originaria da cui sarebbero derivate tutte le lingue). Ci si chiede infine se anche le civiltà amerinde non abbiano avuto anch’esse un “epoca assiale” (per dirla con Jasper), caratterizzata da un improvviso mutamento di spiritualità (Budda, Confucio e Lao-Tze, Pitagora, il Deutero-Isaia, Zaratustra, tutti del V-VI sec A.C.), ma evaporata nella distruzione culturale e spirituale operata in epoche ancora recenti.
 
 
(Nell’immagine: il sogno di Henry Rousseau, il Doganiere)
 
 
 
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