Viva Dio! - I libri e i racconti

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Cara assistente sociale
La disturbo per parlare di un mio paziente di corsia. Si chiama Giuseppe, ha la mia stessa età. Giuseppe è il suo vero nome, un nome comune che non lo fa individuare facilmente. Del resto a lui della privacy non importa proprio nulla.
L’ho conosciuto qualche tempo fa in pronto soccorso. Arrivò di notte, accompagnato dalle guardie, perché carcerato. L’accesso in pronto soccorso era motivato dall’insorgere di atroci dolori addominali (che brutta cosa il mal di pancia, soprattutto quando non può mai cessare!). Dolori che, seppure attenuati dalla terapia, sarebbero continuati nei giorni successivi.  Diagnosi senza scampo: un tumore addominale intrattabile.
Ricoverato, Giuseppe è ora un detenuto con sospensione di pena per “grave compromissione dello stato di salute”.
In seguito ho avuto modo di seguirlo nei reparti di degenza, quelli di “appoggio”, perché per lui non si è mai provveduto, da oltre un mese, al recupero nell’idoneo reparto medico di competenza. Purtroppo il nostro Giuseppe non può fornirci alcuna precisa documentazione medica (trattenuta o persa dalla clinica penitenziaria, ove aveva iniziato un complesso iter diagnostico-terapeutico): l’avvocato, unico in grado di procurarla, forse non pagato, è irreperibile... Persino parte dei nostri esami ed accertamenti clinici vari (verosimilmente ripetuti), per ironia e sfortuna, sono spariti nei meandri della burocrazia ospedaliera, persi nella confusione dei vari “reparti di appoggio”.
I documenti del nostro “paziente” sono inoltre scaduti. Gli è impossibile ritirare la pensione di invalidità, unica fonte di sostentamento. Il comune dove aveva domicilio prima della detenzione non lo annovera più tra i suoi cittadini residenti e pertanto non se ne può occupare. Insomma la scarcerazione, per motivi di salute, gli comporta la sparizione di ogni esistenza giuridica (e fra poco anche fisica) con buona pace del “non essere” parmenideo o del “nulla-nullo” tanto inviso ai fisici quantistici.
Giuseppe è un uomo mite, cordiale, quasi ossequioso. Non mi sento di chiedergli il “perché” della sua vicenda giudiziaria (intuisco si tratti di qualcosa di grave: all’addome è presente una vasta ferita non recente, presumibilmente da arma da taglio).
Con Giuseppe si chiacchiera del più e del meno. Nelle sue parole non c’è mai astio o recriminazione: com’è diverso da quasi tutti noi che, a torto o ragione, recriminiamo di continuo contro l’universo intero!

Cara Assistente Sociale,
Le scrivo perché anche il trasferimento proposto presso l’Hospice (forse lì troverà una casa, l’unica e l’ultima) pare impossibile per motivi burocratici: requisito sine qua non, preteso dalle “Cure Palliative”, è un preliminare colloquio con la “famiglia”. Giuseppe, capace di intendere e volere, NON ha una famiglia. Avrebbe un figlio, con cui da anni non ha più contatti, che pare si trovi in una “comunità” a Perugia…
La prego, faccia qualcosa, l’impossibile, sebbene tutto paia remare contro il signor Nessuno, anzi il signor Giuseppe!
Dottor…, reparto di Medicina.
Nulla accadde ancora per qualche tempo. Infine, grazie alla mia amicizia con una collega responsabile di altro hospice, provvidi al suo trasferimento contra legem.
E accadde l’incredibile.
Giuseppe, il signor Nessuno, rifiorì.
Visse ancora per alcuni mesi un’esistenza finalmente gradevole, quasi felice per aver trovato una casa e degli affetti. Iniziò a coltivare interessi, a socializzare con tutti, ad aiutare gli altri ospiti nel compito più difficile, quello del trapasso.
Il Signore, quello lassù in alto, si è infine ricordato di lui. Gli ha concesso, con tardiva benevolenza e perdono, la migliore delle morti. Una dignitosa morte rapida e improvvisa, non dovuta alla patologia oncologica che l’aveva portato in ospedale.

Viva il signor Giuseppe, viva Dio!

(Nell'immagine: Mario Sironi, la città)

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