Il Mediterraneo al centro della Storia del mondo - I libri e i racconti

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Breve storia del Mediterraneo
«Ma poi che lasciammo indietro l’isola e non si vedeva nessun’altra terra, ma il cielo ed il mare soltanto, una fosca nube sopra la concava nave oscurò il mare sotto ad essa. Uno zefiro urlante sorse all’improvviso, soffiando con gran turbinio, dell’albero spezzò la bufera di vento gli stragli, entrambi, l’albero cadde all’indietro e il timoniere colpì alla testa e le ossa del capo tutte gli fracassò e l’animo fiero lasciò il suo corpo. Zeus ad un tempo tonò e scagliò sulla nave una folgore: si girò tutta, colpita dal dardo di Zeus, si riempì di odore di zolfo; e caddero dallo scafo i compagni. Come cornacchie marine intorno alla nave bruna eran portati dai flutti, e un dio tolse loro il ritorno…»  (Odissea XII 400-415).
Il mar Mediterraneo origina dalla Tetide, un braccio oceanico disposto in senso Est-Ovest che, nei tempi geologici compresi tra il Permiano ed il Miocene, separava l'Africa settentrionale dall'Europa e dall'Asia. Il progressivo avvicinamento dell’Africa al blocco euroasiatico “chiuse” un mare interno, appunto il Mediterraneo. Una transitoria saldatura dello stretto di Gibilterra, circa sette milioni di anni fa, provocò persino il disseccamento quasi completo del nostro mare; poi Gibilterra si riaprì, riversando l’acqua dell’Atlantico a riempire nuovamente il mare interno, si presume con una cascata alta tremila metri.
Il Mediterraneo è il mare delle origini: culla di civiltà e crogiolo di popolazioni, religioni, culture; la Storia dell’uomo è fondamentalmente la storia del Mediterraneo.
Il controllo del Mediterraneo ha sempre condotto al dominio del Mondo, almeno del “mondo antico”; il ruolo geopolitico venne ridimensionato quando il suo bacino fu messo in disparte dalla scoperta delle nuove rotte atlantiche nel XVI secolo. Il Mediterraneo tornò tuttavia nuovamente protagonista della Storia con l’apertura del canale di Suez (1869).
Queste le battaglie navali mediterranee che hanno cambiato la Storia:
1) La battaglia di Alalia (al largo della Corsica, attorno al 540 a.C.) fra genti greche (Focesi per l’esattezza) e la coalizione etrusco-cartaginese. La parziale sconfitta greca segna l’arresto dell’espansione commerciale e della colonizzazione greca nel Mediterraneo, con delimitazione di sfere di influenza (greca nel mediterraneo centro-orientale, etrusco-cartaginese a sud e ad occidente) che resteranno immutate per secoli. Nel 476 a.C. un’altra battaglia navale (Cuma) comporterà questa volta la parziale sconfitta della flotta etrusca, contrapposta a quella dei greci-siracusani di Ierone I: con essa terminerà l’espansione etrusca nel centro-sud italico.
Qualora l’esito della battaglia navale di Cuma avesse avuto un esito più radicale per uno dei contendenti, il mondo sarebbe potuto essere più “etrusco”, con egemonia ed unificazione dell’Italia da parte dei “Tirreni etruschi” (in luogo dei Romani, che verosimilmente non sarebbero mai emersi nella storia), oppure più “greco”, di declinazione siracusana…
2) La battaglia delle isole Egadi (241 a.C.) fra Roma e Cartagine, nella prima guerra punica. Grazie all’innovazione del “corvo” o “rostro” adottata nelle navi romane, la nave avversaria poteva essere abbordata e “bloccata” con una passerella, consentendo un tipo di combattimento di tipo “terrestre”, ove i romani erano favoriti.
Il completo controllo marittimo consentirà a Roma di sconfiggere Cartagine in tutte e tre le guerre puniche (nella seconda guerra punica Annibale, pur vincitore di tutte le battaglie terrestri – Ticino, Trebbia, lago Trasimeno, Canne – dovrà infine desistere per l’impossibilità di ottenere rifornimenti via mare dalla madrepatria).  E per molti secoli successivi il Mediterraneo rimarrà “mare nostrum”.
3) La battaglia di Azio (31 a.C.) conclude la guerra civile fra Ottaviano e Antonio (con Cleopatra), risolvendo un’interminabile sequenza di guerre civili fra “uomini della guerra” romani (Mario, Silla, Sertorio, Pompeo, Cesare, Antonio e, ultimo, Ottaviano). Anche qui svolge un ruolo determinante l’innovazione tecnologica, adottata sulle navi di Agrippa - ammiraglio ed amico personale di Ottaviano - con il “rampone”, evoluzione del rostro già adottato da Gaio Duilio nella prima guerra punica (e poi abbandonato in quanto rendeva instabili le navi durante le tempeste). Esso consentiva di speronare in modo devastante e poi agganciare le navi avversarie.
Dopo Azio inizierà il “principato” di Ottaviano, con un lungo periodo di relativa pace nel mondo e l’esaurimento della “deriva” ellenistica ed orientalizzante delle civiltà mediterranee. I sogni di Antonio e Cleopatra (nei fatti l’ultima “faraonesssa” della stirpe greco-macedone dei Tolomei) di costituire un dominio greco/egizio nel mondo, vengono meno… Un mondo più greco, cioè più “bello” e più “colto”, sarebbe stato migliore di quello romano occidentale?
4) Il dominio dei mari, dall’ottavo al sedicesimo secolo (per ottocento anni!), fu dell’Islam e dei pirati barbareschi ad esso collegati.  Essi controllavano quasi tutte le rotte mediterranee, ad eccezione dell’Egeo bizantino.  Solo transitoriamente rimasero aperte le rotte per la “Terra Santa”, ai tempi delle prime crociate, grazie alle flotte da trasporto delle “città marinare” d’Italia.
L’Europa, privata del suo mare interno, abbandonata la civiltà urbana e rinchiusa nei feudi rurali del nord, precipitò nei “secoli bui” (con un “risveglio” solo dopo l’anno mille).
5) La battaglia di Lepanto (7 ottobre 1571) infrange per sempre il dominio mediterraneo musulmano, inaspettatamente e dopo devastanti “rovesci” cristiani, e cambia la Storia.
Solo un mese prima (9 settembre) era caduta Famagosta, capitale “veneziana” di Cipro, con l’orrendo supplizio del comandante Marcoantonio Bragadin, lungamente torturato, poi scuoiato vivo e la sua pelle riempita di paglia e quindi issata come macabro simulacro su un pennone.
Sei anni prima, dal maggio al settembre 1565, vi era stata l’eroica e quasi disperata resistenza di Malta, assediata dalla flotta ottomana, forte di 193 navi e 48.000 uomini.  
Il momento più critico dell’assedio avvenne il 23 giugno, quando i turchi riuscirono a prendere ciò che era rimasto del forte di Sant'Elmo, vendicandosi sui prigionieri: massacrarono i cavalieri catturati, crocifissero i loro corpi a tavole di legno e li spinsero sulle acque del porto verso le posizioni dei cavalieri piazzati negli altri due forti superstiti.  Jean de la Valette, gran Maestro dell’ordine degli Ospitalieri, ordinò una risposta dello stesso tenore: tutti i prigionieri turchi furono decapitati e le loro teste sparate dai cannoni verso il campo nemico.
I bombardamenti continuarono per giorni, alternati da massicci assalti dei giannizzeri turchi, sempre respinti. I soldati dei rispettivi eserciti si massacrarono a vicenda, convinti che se la morte li avesse colti durante la battaglia avrebbero ottenuto la ricompensa: agli ottomani era promesso il paradiso delle Huri (le settantadue vergini destinate al fedele caduto in battaglia), ai cavalieri era concessa l'indulgenza plenaria da papa Paolo IV.                            
Solo la tenacia estrema dei 550 cavalieri Ospitalieri e di soli 6000 uomini complessivi a difesa di Malta, una relativa superiorità tecnologica (uso del “fuoco greco”), molta fortuna ed infine l’arrivo di rinforzi navali cristiani (“il gran soccorso”), evitarono la caduta dell’ultimo baluardo mediterraneo cristiano.
Se così non fosse stato Roma, ormai priva difese, sarebbe stata conquistata ed islamizzata nel giro di poche settimane, con lo stesso destino di Costantinopoli, divenuta Istanbul nel 1453.
In onore del gran maestro degli Ospitalieri, Jean de la Valette, la capitale di Malta assunse il nome di “La Valletta”.
L'eroica resistenza dei Cavalieri di Malta dimostrò all'Europa che era possibile sconfiggere l'Impero ottomano e si diffuse un sentimento di fiducia e di rivalsa. Molti volontari furono arruolati nelle flotte che erano in costruzione in tutti gli arsenali europei poiché, per la prima volta, la Sublime Porta era stata sconfitta.
La battaglia di Lepanto di pochi anni successiva (curiosamente svoltasi in un tratto di mare antistante le coste del Peloponneso greco, non distante da Azio, sede della battaglia navale del 31 a.C.), coinvolse due immense flotte: quasi 500 navi (galee, fuste, galeotte e galeazze) fra quelle della coalizione cristiana della “Lega Santa”, comandate dal principe Don Giovanni d’Austria e quelle turche dell’ammiraglio Alì Pascià. Anche qui fu un’innovazione tecnologica a determinare le sorti della battaglia “finale” e della Storia: la presenza di sole sei “galeazze” veneziane (al comando di Sebastiano Venier e di Agostino Barbarigo), vere e proprie corazzate dell’epoca con cannoni anche frontali, furono determinanti nello sbaragliare la flotta turca. L’ammiraglio turco Alì Pascià vi trovò la morte e migliaia di “schiavi” cristiani, adibiti al remo della flotta musulmana, furono liberati.
Il giorno 7 ottobre, oggi festa della Madonna del Rosario, venne “santificato” con il nome di S. Maria della Vittoria.
Gli esiti della battaglia di Lepanto (con la sconfitta turca nella battaglia terrestre di Vienna, cioè in piena Europa, qualche decennio più tardi) cambiarono ineluttabilmente il corso della Storia.
Un curioso epilogo della battaglia di Lepanto è la storia di tale Giovanni Galeni, calabrese di Isola di Capo Rizzuto, il quale, molti anni prima (1536), allora diciassettenne, venne rapito dalla terra natia e reso schiavo al remo da pirati barbareschi. Il ragazzotto, sicuramente dotato di talento, si fece valere e fece “carriera” dopo essersi convertito all’Islam ad Algeri. In seguito, con il nome di Alì il Tignoso, divenne a sua volta capo barbaresco e terrore delle popolazioni rivierasche italiche. Si racconta che tornò perfino a salutare l’anziana madre a Capo Rizzuto, sebbene il suo nome, pronunciato con terrore, fosse ora Uccialì o Occhialì. Successivamente divenne governatore di Algeri ed infine, dopo la disfatta ottomana di Lepanto, ammiraglio della superstite flotta, questa volta con il nome di Uluc Alì. In tarda età si ritirò, ricchissimo, ad Istanbul presso la corte del sultano. Alcuni delegati veneziani così lo descrissero, con mal celata invidia: “un vecchio gagliardo straricco che non si nega alcuno di quelli piaceri che sogliono haver li giovani”.
6) La battaglia di Capo Matapam (marzo 1941), sempre al largo delle coste del Peloponneso, determina la distruzione della flotta italiana ad opera degli inglesi. La perdita del controllo delle rotte del Mediterraneo da parte di italiani e tedeschi (anche per la quasi contemporanea distruzione dei porti e delle flotte militari di Genova e Taranto, a seguito di devastanti bombardamenti aerei e navali) comportò l’impossibilità di rifornire i corpi d’Africa e il conseguente loro annientamento; ciò permise i successivi primi sbarchi americani in Sicilia e nel Lazio, ad Anzio. L’innovazione tecnologica inglese del radar fu determinante per gli esiti della battaglia. Le sorti della seconda guerra mondiale erano così in gran parte segnate.
7) Quale ruolo geopolitico ha oggi il Mediterraneo? Quale il suo “vulnus”? Sicuramente l’instabilità della sponda meridionale dopo il “fallimento” delle “primavere arabe” con l’infiltrazione del fondamentalismo islamico, le disperate ondate migratorie dall’Africa post coloniale, l’abbandono dall’area degli Stati Uniti sostituiti da cupidigie francesi e russe, e Israele, con i suoi eterni problemi di convivenza irrisolti, cuneo “occidentale” a spezzare l’unità islamica del meridione mediterraneo, non potranno non essere, nel bene o nel male, protagonisti della storia futura.
50 milioni di anni da oggi, secondo le previsioni, l’Africa avrà proseguito il suo avvicinamento all’Europa fino alla collisione, che provocherà la scomparsa del Mediterraneo.
Tra 250 milioni di anni la Terra apparirà trasformata completamente a formare un unico supercontinente, la “pangea ultima”.
Al posto del Mediterraneo ci sarà una catena montuosa come l'Himalaya. Dell'Atlantico resterà solo un mare interno.
Sogno viaggiatori galattici che possano ancora cantare i versi di Omero.

«O Achille Pelide, di certo il più forte dei Danai… noi Argivi onorammo te vivo come gli dei, ora grandemente domini tra i morti, d’esser morto perciò non dolerti, o Achille». «Non addolcirmi davvero la morte, illustre Odisseo; vorrei, pur di star sulla terra, essere servo… piuttosto che regnare su tutti i morti consunti».  (Odissea XI 485-490).


(Nell’immagine: John William Waterhouse, Ulisse e le sirene, 1891)


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