Su e giu' dalle nuvole - Consulenze e Consolanze Medico Filosofiche

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Su e giu' dalle nuvole

I PAZIENTI DEL DR. CLAUD


Il giro del mondo in otto giorni, ovvero baci senza confini

Tempi eroici, all’inizio della professione. Prima che il mio mondo diventasse la corsia, la mia corsia era il mondo. Questo sicuramente mi preparò alle successive esperienze fra le quattro mura dell’ospedale: avventure del genere prepararono alle imprese quotidiane che seguiranno, magari meno mirabolanti e romantiche, ma forse più ardue.  
Giovane medico in attesa di occupazione stabile, fra i vari lavori collaboravo con una compagnia assicuratrice per l’assistenza sanitaria a viaggiatori stranieri.
A primavera la chiamata: si parte! Quando? Domattina: destinazione il giro del mondo in otto giorni.
Pronti!
La direzione dei fusi orari sarebbe stata alquanto schizofrenica: partenza verso est, ripartenza verso ovest, poi verso nord lungo un meridiano, infine ritorno con rotta ad est lungo un parallelo, circa 40.000 chilometri.
Ero giovane e me ne infischiavo del jet lag.
Il disgraziato di turno da recuperare era un ricco cileno in vacanza ad Atene, ictato, diabetico ed accanito fumatore. Molto complicata la logistica per un viaggio “barellato” su tre diversi aerei, destinazione Santiago del Cile. Ancora più complicata l’assistenza medica ad alta quota ad un malato dalle molte comorbilità.  L’uomo, di poche parole, manteneva un dignitoso silenzio, senza mai una lamentela, benché il suo respiro fosse più simile a quello branchiale dei pesci che a quello umano polmonare.
Ricordi indelebili, dall’alto del volo: la visione dall’alto dell’Acropoli di Atene, la suggestione aerea della Sagrada Familia, in una splendida Barcellona rosata al crepuscolo, l’immensità dell’Oceano Atlantico, il verde dell’Amazzonia solcato dai grandi fiumi, l’enorme estuario della Plata a Montevideo, il sorvolo delle sterminate favelas di Buenos Aires.
L’immagine più suggestiva del viaggio, improvvisa ed inquietante, pochi metri sotto la carlinga dell’aereo da poterla sfiorare con mano, fu la vista della vetta dell’Aconcagua, 7000 metri, la più alta montagna della Cordigliera delle Ande.
A Santiago non ci furono problemi di sorta e l’uomo rifiutò decisamente il ricovero già programmato in un ospedale, preferendo una buona assistenza domiciliare che poteva permettersi  date le sue condizioni di agiatezza. L’unico vero desiderio del cileno non era di “salvar la cabeza” o di rivedere la propria casa e i familiari, bensì quello di potersi finalmente accendere in santa pace un gigantesco sigaro cubano!
Ad attendermi ed organizzare la mia permanenza in Cile fu Orazio, corrispondente locale della società assicuratrice. Diventammo subito amici, malgrado le difficoltà di lingua (non parlavo lo Spagnolo e l’Inglese di entrambi era alquanto zoppicante). Ma trovammo una lingua comune, oltre quella dei gesti e dell’amicizia, il Latino, per entrambi ancora fresco ricordo liceale.
Insieme in pochissimi giorni esplorammo tutto ciò che era possibile a Santiago e dintorni: la sera ero ospite della sua famiglia allargata, un’intera comunità perennemente avvolta da canti e danze e sorrisi. Un’allegria che sembrava sfidare l’incombente regime di Pinochet. Ci spingemmo fino all’oceano: mai avevo visto il Pacifico, a Valparaiso, a Vigna del Mar. Mi gettai fra le onde oceaniche, nella gelida corrente di Homburg, che lambisce le coste cilene proveniente dall’Antartico.  Sognai ulteriori mirabolanti viaggi, con in mano una statuetta di Moai acquistata a Valparaiso, base di partenza per la sperduta Isola di Pasqua.
E poi l’uva! Uva di stagione in aprile, laddove in quella parte di mondo era autunno. A quel tempo si mangiava solo frutta di stagione, non per ragioni salutistiche ma perché non esisteva mercato globale.
Che infinita squisitezza, quell’uva! Per giunta trovata in un locale della costa di nome Villa Randazzo, con tanto di fotografia del luogo “esotico”: che vergogna…io non ero mai stato a Villa Randazzo di Santa Margherita Ligure!
Tornai da solo per una seconda volta nella sconfinata e solitaria spiaggia. Immaginai di poter passeggiare a piedi nudi sulla sabbia fino all’equatore, nel fragore dell’infrangersi delle onde oceaniche. Ma la realtà superò l’immaginazione: oltrepassata l’ultima duna ecco apparirmi una fanciulla dagli inconsueti, per il luogo, caratteri ariani. Biondissima, giovanissima, bellissima, occhi più azzurri del mare: Pamela. Uno sguardo, ci piacemmo immediatamente, provammo a parlare ma nessuna lingua comune ce lo consentì. Ma c’è una lingua universale e fu lei a prendere l’iniziativa con un bacio improvviso ed appassionato. Fu un attimo o una vita intera, non so, e l’intensità sconvolgente del bacio poliglotta infranse i limiti dello scorrere del tempo, rendendo infinito il presente.
Il giorno dopo ero di partenza in un gigantesco PAN AM semivuoto e tutto arrugginito per un volo notturno Santiago-Miami. “C’è un ritardo alla partenza”: il comandante informava di un guasto al motore (ahimè, lo disse anche in spagnolo e capii perfettamente). “Tutto bene, problema risolto!” e l’aereo infine partì spedito verso nord, oltre l’equatore, dall’autunno alla primavera. Poco prima dell’alba fui svegliato da un grande turbinio, sopra il triangolo delle Bermude. Nei mille viaggi aerei fatti in seguito mai e poi mai avrei più affrontato una simile turbolenza. Dal finestrino vedevo fulmini da tutte le parti, le ali sbattevano come quelle dell’aereo di Paperino. I sommovimenti della carlinga erano tali che se non fossi stato legato mi sarei spiaccicato da qualche parte. “È la fine” - pensai - sebbene riuscissi ad essere ancora ironico con me stesso, riflettendo sull’anonimo trafiletto di giornale con l’annuncio della prematura dipartita di un giovane medico italiano. “Siamo razionali” – pensai - l’unica cosa che potevo fare e che feci fu di rovistare nella valigetta medica zeppa di farmaci: ecco il Roipnol, ipnotico tanto caro ai “tossici”. “Se devo morire meglio farlo addormentati!”, e Morfeo mi accolse. Ma con un incubo: ero su un treno durante un deragliamento… Al risveglio mi accolse il sereno assoluto e la meravigliosa vista della Florida e delle isolette attorno a Miami, tutte incartate di bianco: era passato l’artista Christo (per intenderci quello della passerella sul lago d’Iseo) e appunto le aveva incartate tutte. Tale vista mi fece dubitare per un attimo delle mie facoltà, prima di essere spiegata: non era un effetto collaterale del farmaco.
La procedura dell’immigration fu una formalità, sebbene la mia valigetta fosse piena di morfina.
Un altro aereo mi condusse poi nella Grande Mela, ove approfittai di una sosta di quasi un giorno per percorrere a piedi tutta Manhattan. Era la prima volta che vedevo le meraviglie verticali di New York; tuttavia, ancora una volta, fu uno struggente bacio ad attirare la mia attenzione. Nell’andirivieni frettoloso e distratto dei pedoni della Fifth Avenue una coppia era ferma sul marciapiede. Due splendidi vecchi, anzi vecchissimi, anzi di aspetto ultracentenario ma elegantissimi: lui in smoking e lei con abito di chiffon a strati bordeaux, si baciavano appassionatamente incuranti di tutto e di tutti. Solo io rimasi colpito, commosso, ad osservare un amore fuori dal tempo, fuori da ogni tempo e ogni contesto.
Infine la cara Alitalia mi riportò a Malpensa.
Credo di non aver mai dormito per otto giorni, ma ero frizzante come un grillo, pronto per riprendere i miei turni in “guardia medica”. Pronto per riprendere viaggi nel mondo e dentro di me, per dilatare tempi presenti nell’infinito, nell’intensità di una carezza, di un sorriso, di un bacio.

(Nell’immagine: l’Aconcagua, la montagna più alta delle Ande)

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