Sliding door - Consulenze e Consolanze Medico Filosofiche

Vai ai contenuti

Menu principale:

Sliding door

Frammenti autobiografici


Notte fonda. È finito il turno. È ora di tornare a casa, lentamente, lungo la stretta provinciale che poi si immette sulla “Varesina”. Guido piano - dice la canzone - forse troppo piano e allo stop d’immissione sulla strada statale vengo tamponato. Ma è uno strano tamponamento, nella notte deserta dell’hinterland milanese. Il colpo è modesto, verosimilmente senza danni alla carrozzeria, ma il passeggero dell’auto tamponatrice, visto dallo specchietto retrovisore, è accasciato sul cruscotto con le mani sopra la testa, come per un trauma al capo. Scendo perplesso per verificare. Mentre mi accosto al finestrino del passeggero, l’altro sulla macchina, il guidatore, scende e da dietro mi punta una rivoltella alla nuca. È una rapina. Anzi una rapina con rapimento: vengo sospinto a piedi in un viottolo di campagna, mentre uno dei due sposta le due auto dalla strada principale. Non oppongo resistenza e vengo rapinato delle poche cose che ho, l’orologio, il portafoglio con pochi soldi e persino delle sigarette.
I banditi sono a viso scoperto e il primo dice all’altro: «Ci ha visto in faccia! Dobbiamo ucciderlo!» - parole scandite con decisione, in un italiano privo di inflessioni dialettali. Il secondo, quello con l’arma puntata ora alla mia tempia, non risponde e tutto rimane sospeso per un tempo per me interminabile. Mi sembra di leggere il suo atroce pensiero «lo uccido o non lo uccido?». Sliding doors.
Poi il buio. Sono morto? Mi ritrovo per terra in un campo di granturco - da quanto tempo? - dolorante al capo dopo essere stato tramortito con il calcio della pistola. Non c’è più nessuno, scomparse anche le due auto. E ho perso gli occhiali. Ecco! Perdere gli occhiali per un miope, nella notte in un campo di granturco - nemmeno la luna ad illuminare un po’ - solo e stordito, è angoscia allo stato puro.
Dopo aver vagato fra campi e capannoni industriali, alle prime luci dell’alba, vengo infine trovato da una guardia giurata, portato nella locale caserma dei carabinieri e quindi al Pronto Soccorso… Ancora lì, e molto in anticipo rispetto al mio turno successivo. Fortunatamente i danni fisici sono modesti e posso tornare a casa; anche l’auto viene ritrovata non distante, con fari e motore accesi, privata dell’autoradio.
Non riporto danni fisici ma il trauma psichico è stato profondo. Strappata con violenza la “maschera” che tutti indossiamo, per molti mesi dovrò convivere con la nudità del mio stato depressivo.
In un universo parallelo non sarei qui a scrivere. Trent’anni di preparazione e studi, di esperienze e sentimenti, progetti e speranze, sarebbero evaporati nell’attimo di uno sparo, nel gelo della morte. Ed il mio nulla avrebbe sicuramente reso diverso il mondo di tutti coloro che, nei trent’anni a seguire, hanno invece interagito con la mia esistenza. Tutto per la banalità di una rapina finita male.
È credenza comune che, nell’attimo della morte, rimanga impressa per sempre nella retina, l’ultima immagine bella. Quell’immagine, forse per uno strano intersecarsi di universi paralleli, di porte scorrevoli che si aprono dischiudendo possibilità opposte, è rimasta impressa nella mia retina. Sono due occhi azzurrissimi e dolci, pieni di amore ed abbandono. Era troppo tardi, quella notte, non tornavo a casa dall’ospedale. Occhi visti in una notte di passione. In un universo parallelo.

(Nell’immagine: Universi paralleli, Maurits Cornelis Escher)


 
Torna ai contenuti | Torna al menu