Le mani callose - Consulenze e Consolanze Medico Filosofiche

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Le mani callose

I PAZIENTI DEL DR. CLAUD


«Dottore!». Sono al supermercato e trascino stancamente il carrello, assorto nei miei pensieri. Il richiamo non mi riscuote. Quando sono senza camice, il medico in me latita. Fuori dall’ospedale m’immergo volentieri in altri pensieri. Chi avesse bisogno di soccorso lo sappia: rischia di trovarmi assorto. Non sono medico h24, come si dice ora, devo staccare ogni tanto.
«Dottore! Dottore!». Ahia. Questo mi conosce. Che vorrà da me? Chissà cosa ho combinato. Imprimo un’improvvisa accelerazione al carrello, inseguito dalla mia bruciante coda di paglia.
Nessuno di noi camici bianchi convive serenamente con i propri errori.
Il fatto è che se sbaglia un mio amico bancario non tornano i conti, mentre se sbaglio io qualcuno muore o sta molto male.
«Dottore» Mi tende le braccia e la sua espressione è decisamente amichevole. «Ma chi diavolo è?».
«Dottore, sono il signor Fraschini. Si ricorda di me?».
Ecco, ora ricordo. Il signor Fraschini ha rischiato di rientrare a pieno titolo nell’albo dei miei errori irrimediabili.
Rammento a malapena la sua faccia e questo non depone a mio favore. Nel mio mestiere bisognerebbe guardarle tutte con attenzione, le facce, scolpirsene i particolari nella mente. Il mio professore di semeiotica medica diceva che la diagnosi si fa per metà raccogliendo l’anamnesi e per metà guardando la faccia dei pazienti.
Ma quando il signor Fraschini arrivò in Pronto Soccorso ero probabilmente stanco, o forse solo svogliato e la sua faccia non la guardai proprio. Insomma, oggi, che è passato un po’ di tempo, non la ricordo affatto. Lui però si ricorda di me: mi sorride apertamente e accenna perfino un abbraccio che non riesco a schivare. Siamo in un luogo pubblico, io sono senza camice e ho un sessantenne appeso al collo. Un imbarazzo piacevole, che scaccia le nuvole della mia coscienza sporca.
Il signor Fraschini arrivò una notte in PS con un gran mal di testa. L’obbiettività era negativa (fra parentesi: perché poi si chiama “obbiettivo” un esame che risente pesantemente della soggettività dell’esaminatore?). In ogni caso, l’esaminatore, nella fattispecie, ero io. Lo visitai svogliatamente, provai i riflessi, la pressione, la mobilità nucale, le solite cose. Sembrava tutto a posto, tutto nella norma. Gli stavo già preparando il foglio di dimissione, dominato dal desiderio di tornare a sonnecchiare nello stanzino del medico di guardia, quando improvvisamente mi cadde lo sguardo sulle sue mani.  Ecco, le mani del signor Fraschini me le ricordo bene. Mani ruvide, piene di tagli e callosità. Mani di lavoratore. Mi venne in mente una poesia che avevo studiato alle elementari, “Le mani dell’operaio”. Grondava una certa retorica populista. Ricordo che concludeva descrivendo delle mani “nere, stanche e pesanti e così sono le mani dei santi”.
Il signor Fraschini aveva, appunto, mani di santo o di operaio. Fatto sta che pensai: chi ha mani così non è certo uno che si lamenta per un nonnulla. Uno così doveva soffrire davvero molto, per andare nel cuor della notte in pronto soccorso. Allora, contro le procedure (obbiettività ed esami di routine negativi, quindi dimettere), disposi una TAC. C’era un’emorragia cerebrale in corso: salvato in extremis!
Guardo il mio omicidiocolposomancatoperunpelo e sorrido anch’io, al signor Fraschini. E chi se la scorda più la sua faccia?

(Nell’immagine: il mangiafagioli, di Annibale Carracci)

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