La nascita del sentimento e la fede - I libri e i racconti

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La nascita del sentimento e la fede
Era primavera inoltrata e gli orti incolti, lembi sopravvissuti fra rugginose fabbriche e caotici cantieri della nuova Milano, fiorivano ora di fragranze; la disumana periferia sembrava quasi bella.
A 10 anni, per la prima volta, iniziavo a parlare con Silvia, una bimbetta coetanea, conosciuta nella tintoria sotto casa gestita dai genitori. Non avevo mai parlato con una “femmina”, il mio mondo (a parte mamma) fino ad allora era stato solo maschile. Scoprivo la possibilità di un rapporto meno ruvido, quasi dolce, con l’altra metà del cielo. Strane sensazioni, tenere e misteriose.
Ma come un’improvvisa tempesta in un giorno di pieno sole, la notizia: si parte, si trasloca, lontano, a Novara (Novara? Mai sentito Novara…). Sì, papà ha fatto carriera ed è stato nominato direttore d’azienda in quel luogo a me ignoto. E allora si parte, subito, con tutta la famiglia, non importa se mancano poche settimane al termine del ciclo scolastico elementare, non importa se non ho tempo di salutare nessuno. Non rivedrò mai più Silvia.
A Novara la vita per me sarà molto diversa, migliore. Papà ha fatto i soldi e ora abitiamo ora in una villa bifamiliare di gran lusso, sempre in periferia, ma una vera periferia, dove si prospetta una campagna ubertosa, non fagocitata da vomiti industriali. Cominciano ad arrivare tanti regali e una bicicletta, nuova fiammante, quasi da adulto! Un regalo fatto “con il cuore”: la bicicletta servirà per recarmi in autonomia presso la scuola elementare dove concludere il ciclo scolastico con gli esami di quinta, sollevando mamma dal gravoso compito di dovermi accompagnare.
La scuola è nel centro città, a parecchi chilometri da casa. Sono così felice in sella alla mia nuova bici, me ne infischio del traffico cittadino che di fatto non avevo mai affrontato su due ruote. La mia pista ciclabile è una gimcana fra camion e furgoni scatarranti carbonella. E non possono farmi paura i molti ostacoli della strada, tanto, orbo totale e ancora privo di occhiali, non li vedo nemmeno...
Di pomeriggio a casa, grande novità, devo anche un po’ studiare: il programma della nuova scuola è molto diverso da quello di provenienza. Ma anche qui non c’è rischio di essere interrogati: gli alunni in classe, all’epoca del baby boom, sono ben quarantaquattro e la maestra, disfatta e credo ultracentenaria, non ha certo il tempo di pormi attenzioni.
In famiglia sono sempre più sommerso da tanti preziosi regali e giochi: devo essere distolto dai complicati ménage intra ed extra familiari.
Grazie alla bicicletta raggiungo il culmine della felicità: nei lunghi pomeriggi assolati posso vagare libero e solo nell’incanto di un’incontaminata campagna, fra boschi e risaie, allontanandomi anche di molti chilometri, scoprendo la magia della natura e incontrando per la prima volta la Storia. Come isole marroni circondate da un mare verde, scopro antichissime cascine, diroccate, abbandonate, ruderi pieni di rovi. Spinto da curiosità e spirito di avventura vi entro per esplorare, riuscendo a raggiungere ambienti disadorni molto interni, spesso al secondo piano, dove trovo delle scritte rossastre sui muri, come vergate con il sangue. Sono superstiti inni risorgimentali dell’epoca delle guerre d’indipendenza, a volte eroici a volte disperati, di chi forse sarebbe morto il giorno dopo in battaglia. Avanti Savoia! Viva l’Italia!
Con l’inizio delle scuole medie avviene un miracolo, mi si apre la mente, una vera (transitoria…) esplosione di intelligenza. Qualunque cosa legga od osservi, tecnica od astratta, mi si scolpisce indelebilmente in testa.
Primo della classe, primo in tutto, senza alcuno sforzo, non secchione, anzi adorato da compagni ed insegnanti per le mie prestazioni pari solo alla mia gentilezza.

Avevo come vicina di casa, nella villa bifamiliare, una coetanea, una bimba, quindi un essere noioso ed inutile, totalmente inidonea ai giochi di noi maschietti, che mi si attaccava sempre dietro e di cui non sapevo come liberarmi.
(Che grande errore di valutazione! Ebbi modo di rivederla, 20 anni dopo, fantastica attrice di teatro internazionale…).
Con lei qualche volta la domenica andavo a messa.
Giunse Pasqua e alla messa del mezzodì avvenne qualcosa di straordinario, del tutto inatteso e travolgente: la Fede.
Nella vita a seguire non ebbi mai più simili emozioni mistiche, ma quel profumo di fiori di pace di gioia di bene, insomma quell’ “oltre” amico e misterioso, intuito nella profondità di me, non l’avrei più dimenticato.
Troppo bello vivere a Novara! Ed eccoci nuovamente ripartire con il padre in carriera, in un giro mirabolante di nuovi traslochi improvvisi, nuove città, nuovi programmi scolastici, reiterati addii agli amici da poco consolidati.
Con l’inizio del liceo scientifico, ritornato a Milano e frastornato da tutte quelle girandole, vado in crisi. Sono in difficoltà, non capisco una mazza di matematica. Si dispongono per me ripetizioni private: totalmente inutili.  A salvarmi sopraggiunge però il Sessantotto. Con il liceo costantemente occupato, i celerini all’ingresso, le molotov nel cortile, il compagno o il camerata di turno sprangato (o ammazzato, come quello della classe accanto), per il preside, uomo ormai disperato, e per l’intero corpo insegnante vale ora solo una regola di sopravvivenza: sei politico a tutti!
Conosco la cieca stolida acritica odiosa violenza cosiddetta ideologica, di destra o di sinistra, cambia poco, uno slogan per morire di stupidità, ne provo orrore.
E perdo definitivamente la Fede.
Ricordo il giorno esatto: l’ultima confessione, quando un anonimo morboso prelato, cascame di un’inquisizione latente mai eradicata dalla storia, cerca di estorcermi in ogni modo la confessione di peccati sessuali che evidentemente vivevano solo nella sua mente perversa, versione soft del supplizio della ruota di Torquemada memoria.







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