Gita a Ossopoli (astragalo cercasi) - Consulenze e Consolanze Medico Filosofiche

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Gita a Ossopoli (astragalo cercasi)

FRAMMENTI AUTOBIOGRAFICI

All'inizio degli anni '70 frequentavo il corso di anatomia presso la facoltà di Medicina. I corsi erano superaffollati e, in assenza di supporti multimediali allora inesistenti, era difficoltoso capire la struttura delle ossa, in particolare del cranio e del suo interno (le tavole degli atlanti di anatomia non consentivano una comprensione 3D). Pertanto, insieme a due amici e compagni di corso, forniti di regolare permesso dell'ufficio di igiene, decidemmo di recarci presso un cimitero dell'hinterland milanese. Il custode, beffardo e divertito, visionato il regolare permesso, ci accompagnò presso una botola situata di fronte alla locale cappella. «E ora arrangiatevi» disse aprendola e porgendoci una traballante scala.
 
La bocca dell'Ade era stata aperta: una immensa fossa comune (inimmaginabile la sua grandezza dall'esterno della piccola botola) si presentava in tutta la sua macabra oscurità. La nostra piccola pila zinco-carbone illuminava ora una piramide gigantesca di ossa: sulla sommità le ossa più piccole e frammenti e, attorno, alla base della piramide, centinaia di teschi rotolati. Il colore delle ossa non era bianco lucente ma nero pece. Nella poca luce, nel poco tempo concesso, nella generale commistione dei poveri resti di moltitudini di defunti, nell'instabilità della struttura piramidale di ossa, nello sgomento che ci stava prendendo, era impossibile ricostituire scheletri unitari. Decidemmo pertanto di raccogliere la maggiore quantità possibile di ossa non discriminate, nella speranza di raccogliere casualmente almeno un esemplare per ciascuna delle 270 ossa dello scheletro umano. Fra le nostre mani - e questo ci impressionò più di tutto - capitarono anche piccoli oggetti: frammenti di occhiali, di protesi dentarie, di collanine e rosari, qualche foto sbiadita e tanti santini. Scartammo con orrore i crani ancora forniti di capelli. Raccogliemmo tutto in grossi sacchi e caricammo il macabro bottino a riempire per intero la nostra vetusta station wagon. Quindi ci dirigemmo in un bosco pedemontano presso una baita isolata, già in uso estivo ai genitori della nostra compagna, per procedere al lungo lavoro di scelta, classificazione, ricostituzione, lavatura, disinfezione, taglio su un piano sagittale dei crani (per accedere al complicatissimo interno). Non oso pensare che cosa sarebbe potuto succedere in caso di tamponamento sull'autostrada, con dispersione del prezioso carico. Il primo intento fu raggiungere un ruscello del bosco, per procedere ad una preliminare lavatura. Nella baita allestimmo poi enormi pentoloni per la bollitura igienizzante delle ossa (che ribollivano “su e giù” in un infernale minestrone da sabba delle streghe). Infine stendemmo tutto ad asciugare in un prato adiacente (e se fosse passato qualcuno?). Non riuscimmo a tagliare i crani (troppo duri per le nostre seghe artigianali); in seguito demandammo la procedura ai bidelli del corso di anatomia (solerti, con generosa mancia).
 
Questo non solo fu utile ma indispensabile per comprendere appieno la complessità dell'osteologia umana e quindi superare brillantemente l'esame. Inoltre intere generazioni di studenti, del nostro corso e dei successivi, se ne giovarono, grazie ai nostri prestiti di ossa, in gran parte mai restituiti, ma del resto neanche reclamati.
 
Ebbene sì, riuscimmo a ricostituire diversi scheletri completi, anche se con ossa appartenenti a defunti diversi (cioè scheletri composti da circa 270 ossa, ma con ossa verosimilmente provenienti da 270 soggetti). A dire la verità alla collezione mancava un osso: l'astragalo del piede. Cercasi astragalo! Soltanto molti anni dopo ne rinvenni uno, del tutto casualmente, in una necropoli di Roma antica nella campagna laziale, abbandonato in un sepolcro aperto e per il resto vuoto. E ora nessun osso mancava…
 
Superato l'esame, distribuite gran parte delle ossa ad altri compagni del nostro corso e dei successivi, suddivise fra noi tre le ossa rimanenti, queste ultime finirono nelle rispettive cantine e tutti ce ne dimenticammo. Passarono i decenni e anonime masserizie passarono inesplorate di cantina in cantina negli svariati traslochi che si succedettero. Moltissimi anni dopo, completamente dimentico, mi capitò di maneggiare un grosso scatolone privo di riferimenti circa il contenuto. Distrattamente lo aprii: «ah! ah! ah!» urlai sgomento! Le antiche superstiti ossa erano ancora tutte lì! Vennero distribuite, ora del tutto, a nuove generazioni di studenti…
 
(Nell’immagine: il trionfo della morte, Palazzo Abatellis, Palermo)
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