Diavoli e Profeti - I libri e i racconti

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Li chiamavano anni di piombo, Diavoli e Profeti
All’inizio degli anni Settanta, nubi nere si addensavano sopra Milano; sarebbe seguito il decennio più cupo e travagliato della storia della Repubblica italiana. Gli echi della contestazione studentesca, iniziata altrove nel Sessantotto, travalicarono nella lotta armata, nelle Brigate Rosse e culminarono con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro: siamo nei cosiddetti “anni di piombo”.
Gli anni Settanta saranno un decennio contraddistinto da stragi, più o meno “di Stato”, e da inaudite violenze, di trame oscure ordite da un favoleggiato “grande vecchio”. Ma al contempo ci furono grandi progressi civili e sindacali, con i referendum su divorzio ed aborto, sinergie del movimento studentesco con gli operai, lotte che portarono alla stipula dello statuto dei lavoratori e l’avanzamento del movimento femminista, con i suoi meriti e i suoi eccessi, fino alla “fantasia al potere” nella demolizione dell’”ancien régime” borghese, baronale ed istituzionale.
Anche a Milano, davanti al mio liceo, iniziava l’”autunno caldo” e in una livida giornata novembrina era impedito l’accesso alla scuola da un picchetto di studenti: «occupazione!».
Ero giovanissimo ed avevo da poco sostituito i calzoni corti con braghe più consone ad un liceale; quanto accadeva era per me assoluta novità. Quella mattina non sarei stato interrogato, come temevo, in matematica ma avrei percorso a piedi in manifestazione tutta la città, da Lotto a Loreto, associandomi agli slogan «se vedi un punto nero, spara a vista: o è un prete o è un fascista!» apprendendo un nuovo gergo (picchetto, servizio d’ordine, collettivo, movimento, eskimo…). Il nome di battaglia del “servizio d’ordine” del movimento era “Katanga”.
A dire il vero comprendevo molto poco di quanto stesse succedendo. Solo molti anni dopo avrei letto, negli “scritti corsari” di Pasolini, l’amaro commento: “I veri proletari sono i questurini sradicati dal profondo Sud e non gli studenti radical chic a loro contrapposti”.
Stimolato da questi ricordi, ho aggiunto alcune riflessioni sui “corsi e ricorsi storici”, a mo’ di postilla, in fondo. Ma si possono saltare…
In ogni caso, che qualcosa non stesse andando per il verso giusto, lo intuivo già.
Anche quando il liceo non era occupato, l’auto della polizia, una Giulia di colore marroncino, stazionava regolarmente davanti all’ingresso. E troppo spesso si verificavano danneggiamenti nel deposito biciclette e motorini, molto mirati per essere casuali… Un brutto giorno il mio compagno di banco, sedici anni, non si presentò all’appello, e qualche giorno dopo anche un altro compagno: sprangati in ospedale.
Al loro rientro in classe non una parola, né da parte nostra, né da parte loro, né da parte degli insegnanti.
Erano iniziati gli “anni di piombo”.
Furono per me anni sicuramente “formativi” (soprattutto per la riflessione tardiva in età più matura), ma assai poco “informativi”, date le moltissime lezioni annullate ed il sei politico a tutti. Di una cosa tuttavia sono certo: di aver vissuto in una fortunata “finestra” della storia, in cui, per una distrazione dell’établissement e solo in Europa, fu possibile per molti un riscatto sociale, con l’accesso libero all’istruzione superiore e a ruoli dirigenziali nella società. Questa finestra oggi si è richiusa.
Io non partecipai direttamente, se non in piccola parte, a tutto ciò. Ma tutto ciò era nell’aria che si respirava, che lo si volesse o no.
Un episodio di comicità involontaria descrive il clima di quei momenti esasperati in modo esemplare: un giorno, sicuramente sbagliato, bussai alla porta dell’ufficio del preside, un uomo costantemente barricato, ormai disperato: «Scusi il disturbo…ero qui per chiedere il permesso, come tutti gli anni, di organizzare il consueto torneo di scacchi degli studenti liceali…». Senza nemmeno una spiegazione - prendendomi verosimilmente per un pericoloso sovversivo - il preside mi cacciò fuori dalla porta: per quell’anno e per i successivi non si sarebbe più giocato a scacchi nella scuola. Il preside inconsapevolmente mi fece così un regalo: ero stato il vincitore del torneo dell’anno precedente e quindi, a distanza di oltre quarant’anni, sono tuttora l’involontario campione imbattuto del liceo. Magra consolazione per una mancata rivoluzione.

Digressione storico/filosofica: Diavoli e Profeti
Giambattista Vico e Benedetto Croce discorrevano sui “corsi e ricorsi storici”.
All’Illuminismo francese del ‘700, con l’aspirazione alla felicità di Voltaire e Rousseau, seguì l’epoca tedesca del Dovere e del Volere, l’800 di Kant ed Hegel (“Ich wollte”).
Ai “pensieri forti” dei totalitarismi del ‘900 seguì il “pensiero debole” del secolo attuale, con il lento scivolare di fedi ed ideologie lungo il piano inclinato della pattumiera della Storia. Il “positivismo” dei secoli appena trascorsi - di ingenua ed eccessiva fiducia nella scienza – venne sovente sostituito, nel secolo attuale, da pericolose declinazioni di segno opposto, con fascinazioni di sapore medioevale nelle pseudoscienze e nella New Age sciamanica. La complessità e la vastità crescente degli argomenti scientifici (unitamente alla grande ignoranza “scientifica”), anche in menti aperte ed evolute, hanno reso facile questa deriva.
Ma, come affermava Vico, il percorso è a spirale, e qualcosa dei fermenti delle epoche precedenti permane sempre. Che cosa ci riserverà allora il futuro? Molti sono stati i profeti del passato, più o meno consapevoli di esserlo.
Nella “Repubblica” Platone preconizzava ed auspicava, ventitre secoli prima, un sistema statuale di tipo comunista; le profezie di Isaia (Deutero-Isaia), sei secoli addietro, anticiparono la venuta ed il significato del Cristo; nei “Diavoli” Dostoevskij, oltre un secolo fa, descrisse il “male“ assoluto ed il desiderio di morte del terrorista suicida odierno... Le origini delle aberranti ideologie di morte espresse da kamikaze giapponesi o fondamentalisti islamici si ritrovano quindi già nel pensiero occidentale dell’800.
Forse qualcuno ha già descritto o pronosticato gli eventi che verranno: di fatto viviamo in un’epoca di sconcerto e non sapremo mai esattamente dove sia diretto il mondo.
C’è tuttavia un filo conduttore nel motore della storia: i potenti della terra tendenzialmente vorranno essere sempre più ricchi ed ovviamente sempre meno numerosi, e a qualunque costo.
I corsi e ricorsi storici, nel percorso a “spirale” della storia, declinano tuttavia tale hybris dell’uomo nei diversi contesti, dall’antica Roma ad oggi.
La durata millenaria dell’impero romano fu dovuta principalmente alla continuità politica di un senato oligarchico, capace di intrigare ed allearsi con tutte le oligarchie del resto del mondo, ai danni dei popoli subalterni - insomma i ricchi contro i poveri a livello planetario - sia pure con transitori “periodi libertari” (la vicenda dei Gracchi, Spartacus, i torbidi populisti degli “uomini di guerra” di fine Repubblica, fino a Cesare).
Dopo mille anni l’Impero di Roma si sgretolò, più per un suicidio interno di civiltà che per le invasioni barbariche. E i poveri di un tempo, i barbari, divennero i nuovi ricchi ed il meccanismo riprese a macinare la Storia.
Dalle prossime generazioni, “il premio” per i potenti della Terra potrebbe essere in qualche modo diverso e molto più allettante, nella ricerca del bene più prezioso: il tempo. Le moderne tecnologie bioingegneristiche e genetiche, ormai non più fantascientifiche, in tempi relativamente brevi, potranno consentire a pochi, ben pochi, il prolungamento teoricamente illimitato della durata della vita e della vita attiva. Ma per poter accedere al Santo Graal della quasi immortalità, gli oligarchi dovranno essere in pochi e molto, molto più ricchi e potenti. Vedi lo stato dell’arte nello studio della clonazione e dei telomeri, le piccole porzioni di Dna che influiscono sulla durata della vita della cellula.
Il sogno ingenuo e velleitario dell’immortalità vagheggiato dai faraoni d’Egitto, dagli imperatori cinesi, da altri immorali e sciagurati potenti della Terra nell’antichità, potrebbe insomma, con qualche limitazione, avverarsi per gli oligarchi che verranno nel XXII secolo o anche prima. Diversamente, che cosa se ne farebbero i potenti di oggi, già ricchi oltre la possibilità di utilizzare anche una minima parte delle proprie ricchezze in una vita sola, delle ulteriori infinite ricchezze cui mirano? Un ipotetico futuro così distopico potrebbe porre la pietra tombale all’attuale “ricreazione” di sapore New Age.
Che cosa potrà aiutare l’umanità in queste nubi che si addensano?
Economisti e politologi, scienziati e filosofi, capitalisti e masse sempre più proletarie, ricchi e poveri, colti ed ingenui, atei e credenti, nazioni continentali e piccole comunità lavoreranno pro o contro queste apocalittiche derive, con i loro studi, le loro formule, le loro lotte, le loro rivoluzioni e controrivoluzioni.
Dal mio piccolo suggerirei di non abbandonare mai lo strumento pur imperfetto della razionalità: il mondo è complesso, molto complesso; la ragione, anche se non è esaustiva del processo di comprensione, rappresenta uno dei pochissimi metodi che abbiamo per tentare di attraversare il vasto oceano della conoscenza e affrontarlo con qualche speranza di salvarci. Usare la ragione può sembrare una piccola cosa, come imparare a fare una bracciata di nuoto. Ma una dietro l’altra le bracciate ci portano a riva. E noi siamo temerari nuotatori, possiamo farcela!
Il solo strumento della razionalità però non è sufficiente. Sarà di fondamentale importanza tramandare, sempre e con forza, l’idea antica di Bellezza, insegnataci dalla cultura della Grecia Antica e poi declinata in molteplici Rinascimenti.
Con Il principe Miškin, nell'”Idiota” di Dostoevskij, ripetiamo allora: la bellezza salverà il mondo!
Gli induisti si salutano con questa formula: “Namastè, saluto il divino che è in te”; aggiungerei: “saluto la bellezza che è in te”, riflesso di quella del Mondo.
E forse Saturno - Crono, ovvero il Tempo per gli Antichi greci - non divorerà i propri figli...

(Nell’immagine: Francisco Goya, Saturno che divora i suoi figli)
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